martedì 20 giugno 2023

Le "Pagine Bianche" in Final Story

 


Sono andata a controllare nella versione originale giapponese di "Candy Candy ~ Final Story" dove sono state inserite le pagine bianche e ho notato una cosa interessante. Non sono riconducibili a una questione prettamente pratica di impaginazione, perché seguono uno schema. Le pagine bianche sono state inserite nel romanzo per separare la temporalità. Ogni lettera o retrospezione che segue una pagina bianca racconta qualcosa successo prima della lettera o retrospezione che precede la stessa pagina bianca. Di seguito l'elenco di dove si trovano le pagine bianche nell'originale giapponese del romanzo:


  • Dopo lettera a Dan Juskin, nella quale Candy scrive "al momento sto studiando intensamente per diventare infermiera." La lettera seguente è da parte di George, che le dà l'approvazione a entrare nella Scuola Mary Jane. Quindi temporalmente la lettera di George precede quella a Dan Juskin, è con lei inizia il racconto alla Mary Jane. 

  • Dopo la lettera a Sam, Jeff e Susie, dove si congratula per il matrimonio del padre e dice di avere il turno notturno. Segue la lettera a Terry in cui gli dice di essersi iscritta alla Scuola per infermiere. Probabile che temporalmente preceda quella ai bambini, scritta magari quando è già all'ospedale Santa Johanna, perché ha il turno di notte, e perché deve essere passato del tempo affinché il signor Carson abbia conosciuto e poi sposato Victoria. 

  • Dopo la lettera a George in seguito all'inaugurazione del Resort Inn, avvenuto a guerra finita. È seguita dal ricordo della morte di Stair e della rottura con Terry, quindi anche qui si torna indietro nel tempo per proseguire con il racconto.

  • Dopo la retrospezione in cui Candy ricorda la convivenza alla Magnolia, la fuga di Albert e la sua battuta "preferisco che sembri più grande piuttosto che ti scambiano per la mia sorellina", che avviene dopo che lui si è rivelato come Prozio. Segue la lettera di Archie in cui le scrive che stanno ancora cercando Albert, quindi anche qui si torna indietro nel tempo per proseguire con il racconto. 

  • Dopo il ricordo della morte di Susanna. Segue la famosa  lettera di Terry.

E se tanto mi dà tanto….

martedì 7 giugno 2022

Ti amo. Mi ami. O forse no? Fanfiction di Candy W. Ardlay










Era una domenica pomeriggio, una delle tante, fresche e assolate domeniche di fine estate che scorrevano lente e tutte uguali alla casa di Pony, con il privilegio di oziare un poco dopo le funzioni religiose della mattina e il pranzo festivo con i bambini dell’orfanotrofio. Candy non aspettava il suo arrivo quel giorno, a dire il vero non se lo aspettava mai. Le sue visite erano sempre improvvise e mai annunciate, una folata di vento che non t’aspetti e si porta via il tuo cappello, così veloce che quando lo hai raccolto e rialzi il volto al cielo, non la senti più.

Intenta a sgranare i fagioli appena raccolti per la zuppa della sera, nella tranquillità della cucina, Candy avvertì il rumore di un auto in lontananza. Ebbe un tuffo al cuore, e corse alla finestra con la speranza accesa nello sguardo di vedere la sua auto svoltare l’ultima curva ai piedi della collina. La riconobbe all’istante, e le gambe le si fecero deboli. Corse alla porta, la spalancò e lo aspettò sull’uscio, cercando di ricomporre in quel breve lasso di tempo che la separava dal suo arrivo i respiri e i pensieri convulsi.

Il cuore le rimbalzava con forza nel petto, e sperò che Miss Pony e Suor Lane, quel giorno, indugiassero un poco di più con le lezioni di catechismo domenicale ai bambini del villaggio. Quando lui scese dall’auto non trovò nemmeno il coraggio di muovere un passo. Rimase a fissarlo con le mani giunte in vita e lo guardò fermare l’auto, scendere, chiudere la portiera e infine voltarsi per rivolgerle quel sorriso luminoso in grado di farle battere sempre forte il cuore. Fu solo quando lui allargò le braccia che riuscì a riprendere il controllo sulle proprie emozioni, e gli corse incontro desiderosa solo di tuffarsi tra quelle braccia che non aspettavano altro di accoglierla.

Sei venuto!

Più in fretta che ho potuto.

Alzò il viso affondato nel suo petto per guardarlo in volto, e gli sorrise.

Miss Pony e Suor Lane sono ancora al villaggio per il catechismo? È inusuale questo silenzio.

Sì, ma vieni dentro — lo invitò, staccandosi da lui. — Ti offro una limonata che ti farà leccare i baffi. Miss Pony l’ha preparata proprio questa mattina.

E tu sei riuscita a non berla tutta?

Gli rispose con una smorfia, e lui la seguì ridendo attraverso l’ingresso, il salotto e infine la cucina, notando quanto quell’ambiente, ormai, gli fosse divenuto estremamente familiare.

Candy prese una brocca dalla madia, un mestolo dal muro e la riempì travasandola dal grande pentolone lasciato sul lavello a raffreddare. La appoggiò sul tavolo e riempì due bicchieri. Ne porse uno ad Albert, rimasto in piedi appoggiato all’ingresso, e sollevò le sopracciglia con aria interrogativa. Poi capì.

Scusami, non ti ho nemmeno fatto accomodare! — si giustificò arrossendo, con il bicchiere di limonata ancora stretto nella mano.

Cos’è questa formalità, Candy? Mi metti in imbarazzo!

Portò una mano a grattarsi la testa prima di toglierle il bicchiere di mano, ne bevve un sorso e le sorrise.

Lei si rilassò un poco, e si avvicinò alla dispensa per prendere qualche biscotto e riempirne un piattino. Lo posò sul tavolo, si sedette sulla sedia più vicina, accavallò le gambe e iniziò a mangiucchiarne uno.

Lo so. È che ti guardo e non so ancora bene chi ho di fronte. Guarirò mai?

Resta come sei, ti prego. Se per guarire dovessi cambiare ti preferisco malata.

Risero, e Albert prese posto di fronte a lei. La guardò e vide i suoi occhi sconcertati ma carichi di aspettativa puntati nei suoi. Quella ragazza era sempre stata un libro aperto per lui, poteva leggerne sul volto ogni emozione, pensiero, inquietudine. Qualcosa però, negli ultimi tempi, gli sfuggiva.

Questa limonata è davvero squisita. Se Miss Pony non avesse dedicato la vita a questo orfanotrofio la assumerei come cuoca personale. Posso prenderne un altro bicchiere?

Allungò una mano verso la caraffa ma Candy, intenzionata a dimostrarsi un’ospite di tutto rispetto, fu più veloce ad afferrarne il manico. Albert indugiò un istante con la mano su quella di lei e alzò gli occhi a guardarla, poi la ritrasse, lentamente. Pensò che quel breve contatto doveva averla leggermente confusa, perché era arrossita e aveva finito per rovesciare un poca di limonata sul tavolo.

Sono la solita pasticciona, scusami! Pulisco subito — disse correndo al lavello per prendere uno straccio.

Quando la finirai di scusarti con me, Candy?

Quando la finirò di combinare pasticci. Probabilmente mai.

Si guardarono e scoppiarono di nuovo a ridere, Albert per l’espressione buffa di lei, Candy per la consapevolezza della profonda verità insita in quelle parole. L’allegria sul volto di Candy si smorzò nell’istante in cui Albert estrasse dalla tasca della sahariana che indossava un foglio piegato in quattro, per deporlo sul tavolo ben lontano dalla brocca di limonata. I suoi occhi si colmarono di apprensione, e li puntò dritti su di lui.

È giunto il momento?

A quanto pare, sì. Sei maggiorenne ora.

Candy allungò una mano a prendere il foglio, lo dispiegò tra le mani e si apprestò a leggere con attenzione. Il cuore le batteva forte, e non avrebbe saputo dire se per il sollievo o la malinconia. O altro.

Vorrei che tu ci riflettessi bene, Candy. Con calma, non c’è alcuna fretta.

La ragazza annuì e rimase a lungo a fissare quell’atto legale che in un modo o nell’altro avrebbe inciso profondamente sulla sua vita.

Ti va di fare due passi? — le chiese a bruciapelo Albert, rompendo il silenzio che era calato tra loro.

Stavo per chiedertelo io. È una bellissima giornata, e sarebbe un peccato trascorrerla interamente in casa. E poi ho bisogno di prendere un poco d’aria e schiarirmi le idee.

Ripiegò con cura il foglio che teneva ancora stretto tra le mani e lo infilò nella tasca destra dell’abito in percalle verde che era solita usare nei giorni di festa, anche se impegnata a sbucciare piselli. Accettò con un sorriso la mano che le aveva allungato per invitarla ad alzarsi e lo seguì nel sagrato della piccola chiesetta. Albert adorava quel sorriso, avrebbe fatto qualunque cosa per vederlo splendere sempre sul suo volto come accadeva in quel momento. Qualunque cosa.

Passeggiarono con calma parlando del più e del meno, della salute d’acciaio della prozia e dei piccoli acciacchi di Miss Pony, del lavoro presso la Clinica Felice del dottor Martin e delle ultime novità a Chicago. Parlarono tanto, parlarono di tutto tranne di quel foglio al sicuro nella tasca di Candy, imboccando infine, senza nemmeno esserselo detto, la via che portava dritta dritta sulla cima della collina di Pony.

Quanti anni sono passati da allora, Candy? — le chiese dopo qualche istante di silenzio una volta raggiunta la meta.

Tanti, forse troppi — gli rispose senza pensare, e diede la schiena alla casa di Pony per fissare lo sguardo all’orizzonte. — Alle volte vengo qui, mi siedo su questo prato e mi perdo a fissare l’orizzonte, proprio come ora. Qui è rimasto tutto immutato e se m’impegno riesco per qualche istante a tornare bambina, a ritrovare quei tempi e guardare tutto con quegli occhi.

Albert appoggiò una spalla al tronco dell’albero più vicino, e rimase a fissarla a lungo. La bambina che era corsa su per quella collina come una pallottola per sfogare in solitudine tutto il suo dolore era scomparsa, ormai. Di fronte a lui stava ora una splendida, giovane donna, con più ferite che battaglie sul cuore, ma dal sorriso immutato, splendente e radioso come allora.

Ti mancano?

No — rispose, sedendosi sull’erba. — Mi piace ricordare com’era, le sensazioni che provavo quando tutto era meraviglia e aspettavo pregando che un auto o un carro o un semplice cavallo comparissero su quella strada per venirmi a prendere e darmi una famiglia. Immaginavo la mia mamma, il mio papà. Lei aveva un volto molto dolce e grandi occhi verdi come i miei. Lui era un signore distinto, con una tuba e folti baffi curati e neri, come gli occhi.

Albert si sedette accanto a lei, e passò con lo sguardo quella stradina fatta di ghiaia che dal villaggio portava alla casa di Pony, chiedendosi cosa avesse mai potuto provare una bambina che aspettava tutti i giorni che qualcuno andasse a prenderla per regalarle una casa.

La tuba ce l’ho, gli occhi purtroppo sono di un altro colore, come i capelli. E non porto più baffi né barba.

Non sei nemmeno mio padre.

No, non lo sono.

Fissò serio il profilo di lei in controluce, poi strappò un filo d’erba dal prato e se lo infilò in bocca.

Vorrei che tu sapessi che qualunque decisione tu prenda potrai sempre contare su di me, per qualunque cosa tu dovessi avere bisogno.

Candy gli strinse una mano, e posò il capo sulla sua spalla.

Lo so Albert. Sei stato prezioso in tutti questi anni. Ci sei sempre stato. Non so cosa ne sarebbe stato di me se non ti avessi conosciuto.

Lui sorrise e le passò un braccio intorno alla vita, trasmettendole il suo colore e conforto. A Candy piaceva poter respirare il suo profumo insieme a quello caratteristico della collina di Pony. Le davano entrambi la sensazione di sentirsi a casa.

Mi chiedo lo stesso di me, Candy. Tu mi hai letteralmente salvato la vita quando l’unica cosa che desideravo era morire. Sono io a non sapere cosa ne sarebbe stato di me, se non ti avessi conosciuta.

Per quanto riguarda il salvarci la vita direi che siamo pari. Alla cascata sarei morta se tu non fossi stato lì.

Albert sorrise nel ricordare quel giorno. Ci aveva pensato spesso, in seguito. Il suo intervento era stato davvero provvidenziale.

Candy, cos’è che ti fa tentennare di fronte alla proposta di un’adozione effettiva?

La ragazza si ritrasse, e raccolse le gambe in grembo circondandole con le braccia. Appoggiò il mento sulle ginocchia e si prese del tempo per riflettere.

Non sono più una bambina, Albert. Non cerco più una famiglia, non quel tipo di famiglia, almeno. Sono adulta, e indipendente. Non voglio rubare qualcosa che non mi appartiene.

Rubare? — ripeté lui, colmo di sconcerto.

Sì. Sono sempre stata orgogliosa di affiancare al mio il cognome degli Ardlay ma...vedi… vorrei portarlo per merito, non per qualcosa che non ho fatto.

È stata una scelta mia.

Sì, e non ti ringrazierò mai abbastanza per questo.

Albert gettò lontano il filo d’erba che stringeva tra le labbra e si sdraiò sul prato. Le nuvole si muovevano veloci in cielo, proprio come quel giorno di tanti, tanti anni prima. Solo che allora aveva compreso cosa fare. In quel momento per niente.

È questo l’unico motivo che ti ha portata a chiedermi di ufficializzare la tua posizione? — le chiese dopo qualche istante di riflessione.

Non voglio essere un peso per te, Albert.

Ti ho dato l’impressione di ritenerti tale? — Alzò il capo a guardarla preoccupato, e lei accennò un sorriso.

No no, affatto. Sono io che non voglio crearti problemi. Non sappiamo come andrà in futuro e io...ecco...non voglio un giorno essere causa di dissapori.

Albert si rialzò a sedere e la scrutò serio. Candy abbozzò un altro sorriso stentato in risposta al suo sguardo indagatore e incrociò le gambe sotto il vestito.

Un giorno t’innamorerai, ti sposerai, e io sarò solo un peso per te. Non voglio che accada questo.

Ci mise qualche secondo a metabolizzare quelle parole. Sbatté più volte le ciglia, disorientato.

Capisco. Sarebbe dunque un problema per te se io mi sposassi?

Ci rifletté un poco su. In realtà si, sarebbe stato un problema enorme.

No — rispose invece, cercando di rimanere il più razionale possibile. — Solo non vorrei che la mia esistenza potesse diventare un problema per tua moglie, o per i tuoi figli.

Figli? Scosse la testa, quasi a voler scacciare quelle assurdità e tornare a pensieri più logici e razionali. Tornò a guardarla chiedendosi se lo stesse prendendo in giro, ma sembrava estremamente seria. Ne era convinta davvero!

Non ti sembra di andare un po’ troppo in là con l’immaginazione e le preoccupazioni?

Non dirmi che non ci hai mai pensato! — gli rispose sorpresa, rimanendo a bocca aperta per lo stupore.

Non in questi termini.

Ne esistono altri?

Scoppiò a ridere di fronte all’espressione perplessa e buffa di lei e piegò una gamba per posare il gomito sul ginocchio.

Ho pensato che un giorno probabilmente mi sarei sposato, che forse, probabilmente, avrei avuto dei figli, ma non sono mai andato oltre a questo. Per la verità, penso di non averci speso poi molto tempo a rifletterci.

Sì, lo capisco.

Sembrava delusa, e lui spostò lo sguardo all’orizzonte.

Non esiste proprio nessun altro motivo a giustificare la tua richiesta?

Lei abbassò a sua volta lo sguardo sull’erba, ormai il verde stava virando inesorabilmente verso il giallo e il marrone.

No. Ero preoccupata per te. E… davvero tu vorresti adottarmi?

Lo guardò turbata, desiderando e temendo di sentirne la risposta.

Solo se ti renderebbe felice, Candy. Non desidero nient’altro che la tua felicità.

Lo so. È sempre stato così. E mi hai sempre resa felice. Hai realizzato ogni mio desiderio e curato le mie ferite. Come posso ripagarti di tanta gentilezza?

Ripagarlo! Chiuse gli occhi e si passò le dita a massaggiare la fronte. Di tutte le parole che avrebbe potuto scegliere, ripagarlo non era di sicuro quella che si aspettava, o auspicava.

Mi hai già ripagato di tutto se ti senti in debito. Vorrei tanto però che scordassi la parola debito e ti sentissi invece libera.

Non le faceva capire niente. Libera da cosa, da lui? Come poteva pensare che adottarla l’avrebbe fatta sentire libera o felice?

Albert, non voglio essere adottata.

Albert la fissò a lungo, quasi a voler cercare e catturare le parole che la ragazza aveva voluto tenere per sé, e non aveva pronunciato.

Va bene — accondiscese con un sospiro che Candy non seppe se interpretare come sollievo o rassegnazione. — È sufficiente che tu strappi quel foglio. Anche se in realtà è una bozza, il documento ufficiale nel caso cambiassi idea dovrai venire a firmarlo a Chicago, di fronte a un notaio.

Candy annuì, accennando un sorriso.

Non lo prendi come una mancanza di rispetto o riconoscenza, vero?

No, Candy — le rispose con un sorriso, e le accarezzò con dolcezza i capelli mossi dal vento. — La prendo come una speranza.

Lo fissò titubante, e per un istante si chiese se la speranza potesse essere uguale alla sua.

Ti chiedo però un favore. Potresti aspettare Sahmain? Sarà riunita tutta la famiglia e mi farebbe piacere se tu vi partecipassi in quanto membro.

Samhain? — ripeté Candy, con aria interrogativa. Non aveva mai sentito quel nome.

Sì, Halloween. La festa di fine estate o della commemorazione dei morti.

Mi devo mettere in maschera?

Albert scoppiò in una sonora risata e appoggiò i palmi delle mani sul terreno ai lati della schiena.

No, non lo festeggiamo in quel modo. Penso che alla Prozia prenderebbe un colpo, anche se sarebbe divertente. — Si appoggiò sui gomiti e tornò serio. — Commemoriamo i morti. Ma non ci sarà alcun rito tribale, a parte i fuochi.

Allora parteciperò molto volentieri. Commemorerò molto volentieri anch’io Anthony, Stair, Rosemary e anche i tuoi genitori.

Lui annuì brevemente con il capo e mormorò un debole: ti ringrazio, Candy.

Albert, posso sdraiarmi accanto a te qualche minuto?

Quella richiesta improvvisa lo sorprese, ma sorrise e si allungò sull’erba.

Non avrai freddo?

Negò con il capo e lui allargò un braccio per farle posare il capo sulla propria spalla.

Come posso essere libera se nemmeno le nuvole lo sono?

Albert fissò le nuvole e ricordò le riflessioni pensate tanti anni prima proprio su quella collina e che aveva riportato a Candy.

A cosa ti senti legata?

A te.

Non riuscì a dirlo, però.

Alla paura di non esserlo, di non poterlo essere mai.

Albert rimase in silenzio a lungo, poi si voltò su un fianco e la fissò negli occhi.

Lasciala andare. Non la temere. Quello che deve accadere accadrà comunque, tutto il resto è solo nelle tue mani.

Le asciugò una lacrima che aveva iniziato a scorrerle lungo una guancia e tornò a posare il capo sull’erba e a perdersi a guardare il cielo azzurro e terso che si apriva infinito sopra le loro teste.

Un giorno me lo dirai cosa ti turba in questo modo?

Lei strinse le dita intorno al tessuto della sua camicia e abbassò il volto contro la sua spalla, tanto che lui riusciva a vedere solo una massa di capelli biondi arruffati dal vento.

È troppo intimo e sconveniente il modo in cui ci stiamo abbracciando?

Quella domanda lo spiazzò completamente.

Pensi che lo sia?

No.

Allora va bene così.

La tenne stretta a sé ancora un poco, riflettendo su quella domanda e sul fatto che non gli avesse ancora risposto. Non era da lei.

Sì Albert. Un giorno. Un giorno te lo dirò.

Lui annuì e respirò il profumo dei suoi capelli. Assorbì il calore del suo corpo. Era strano, avrebbe dovuto essere lui a scaldare lei. E non faceva nemmeno freddo!

Ti fermi per cena? — gli chiese all’improvviso, cambiando volutamente discorso.

Se non vi è di disturbo, mi fermerei anche per la notte. Partirei domattina all’alba.

Candy sorrise contro il suo petto.

Miss Pony e Suor Lane andranno in fibrillazione ma saranno felicissime. Ti adorano.

Anch’io — le sussurrò piano tra i capelli. — Tutti voi.



**********


Quella ragazza mi farà uscire matto, prima o poi! — disse Albert ad alta voce, scalando una marcia per imboccare l’ultima curva che dalla casa Di Pony lo avrebbe immesso sulla strada principale in direzione Chicago. Gli aveva chiesto se con la maggiore età sarebbe scaduti i termini che facevano di lui il suo tutore, e i documenti per rinunciare nel caso a quel privilegio. Lì per lì ne era rimasto sorpreso, piacevolmente sorpreso a dirla tutta. Poi aveva iniziato a dirgli quanto gli fosse grata, che non avrebbe mai saputo come sdebitarsi, e che era giunto ormai il momento che imparasse a cavarsela da sola. In pratica, non aveva più bisogno di lui. Quell’ultima considerazione l’aveva presa proprio male, in effetti, aveva creduto di essere importante per lei, addirittura fondamentale nella sua vita. Aveva creduto che lei avesse bisogno di lui, di saperlo al suo fianco. Aveva sperato e capito che aveva iniziato a provare qualcosa per lui che andasse oltre l’amicizia, l’ammirazione, la semplice riconoscenza. Dopo quelle parole aveva iniziato a dubitare, e pensato che forse avrebbe desiderato venire adottata a tutti gli effetti, e sebbene a malincuore, se era ciò che desiderava, lo avrebbe fatto, e glielo aveva proposto. Invece no. Voleva solo essere indipendente, e non rappresentare un peso per lui e per la sua futura moglie. E futuri figli. Un bel colpo da attutire, una doccia gelata nemmeno così piacevole. Poi gli aveva chiesto di abbracciarlo, e si era preoccupata che la cosa non sembrasse troppo intima e sconveniente. E non si era mai posta tutti quei problemi prima di allora.

Premette sull’acceleratore e sbuffò. Eppure, sarebbe stato difficile non comprendere alcuni suoi sguardi, alcuni rossori. Possibile che avesse travisato tutto? Niente, non riusciva a venirne a capo. Avrebbe voluto mettere tutte le carte in tavola quel giorno, baciarla e rompere il ghiaccio, ma di fronte a quelle parole non si era azzardato nemmeno a pensarci. Era stata indubbiamente una delle giornate più strane e infruttuose della sua vita. Se ne tornava a casa con più domande che risposte, e l’unica cosa che poteva fare al momento era attendere Samhain e schiarirsi le idee. Voleva scoprire dove risiedesse la sua felicità, certamente, ma soprattutto voleva capire cosa diamine le passasse per la testa. E cosa provava per lui. Cosa provava davvero per lui. Era sempre stata un libro aperto, ora lo vedeva più chiuso che mai e le pagine scritte con un inchiostro totalmente invisibile ai suoi occhi.



Perché mai le aveva chiesto se voleva essere adottata? Era l’ultima cosa che avrebbe mai desiderato da lui. Possibile non l’avesse capito? Come poteva solo pensare che lei desiderasse diventare a tutti gli effetti la sua figlia adottiva?

Quando si era rivelato come Principe della collina aveva creduto che forse, alla fine, una possibilità l’aveva. Dopo tutto quello che si erano detti, lo scambio epistolare tra loro, le promesse fatte, ciò che aveva dichiarato, aveva creduto che lui avesse capito. Certo, era tutto ancora molto strano pure per lei, ma l’intensità dei sentimenti che provava per lui era un qualcosa al quale non riusciva ancora a dare bene un nome. Era tutto ancora troppo strano, troppo grande. Forse lo aveva spaventato? Le aveva detto che desiderava solo la sua felicità, che avrebbe fatto di tutto per regalargliela anche in futuro, e ora se ne usciva con questa storia dell’adozione?

Candy non riusciva proprio a venirne a capo. Di nuovo seduta al tavolo a sgranare fagioli e piselli, rimasugli del pomeriggio precedente, non si dava pace. Con disappunto, si accorse che bucce e frutti erano finiti mischiati tra loro così, con un sospiro di frustrazione, si mise a suddividere il contenuto del giornale e della ciotola. Quell’uomo l’avrebbe fatta impazzire sul serio, prima o poi.

È stato gentile il signor Ardlay a proporti un’adozione a tutti gli effetti — ruppe il silenzio Miss Pony, scostando una sedia per prendere posto accanto a lei e aiutarla a completare il lavoro.

Sì, lo è sempre.

Hai già deciso cosa rispondergli?

Candy soppesò le parole. Sì che aveva deciso, era la motivazione a non piacerle.

Sì. Gli ho detto che rifiuto, e lui mi ha chiesto di aspettare la festa dei morti.

È una scelta che ti fa onore, bambina mia.

Candy accennò un sorriso, ma le uscì più amaro di quanto avrebbe desiderato mostrare. Miss Pony era così dolce e saggia, si riteneva fortunata ad avere una mamma come lei. Anzi, era fortunata due volte, perché lei di mamme ne aveva ben due!

Albert aveva sicuramente qualcosa in mente per averla invitata a quella festa e chiederle di aspettare. Ma mannaggia a lui se per una volta l’avesse messa a conoscenza delle sue intenzioni!

Continuò a rimuginare sulla questione per tutti i i giorni che seguirono: alla casa di Pony, alla clinica Felice, sdraiata nel letto in attesa in prendere sonno ma niente, più ci pensava più la risposta sembrava sfuggirle, sgusciarle tra i pensieri e nascondersi nei meandri inesplorati della sua mente.

Quella sera chiuse il libro con uno sbuffo dopo essersi resa conto che era la terza volta che rileggeva la stessa pagina dall’inizio alla fine senza riuscire a ricordare cosa mai avesse letto. Sollevò le coperte, abbassò il lume della lampada ad olio sul comodino e si alzò dal letto. Non sarebbe riuscita a prendere sonno comunque, tanto valeva muoversi. L’idea di partecipare a quella festa, poi, non l’allettava per niente. Non conosceva bene tutti i partecipanti — era talmente numerosa quella famiglia! — che faticava ancora a ricordare tutti i loro nomi. Ma ci sarebbero stati Annie, Archie, forse anche Patty e loro sì che li avrebbe rivisti volentieri! I Lagan no, ma in quel momento rivederli era l’ultimo dei suoi problemi.

In realtà, ciò che la scombussolava e la faceva tentennare sull’opportunità o meno della sua partecipazione alla festa era il rapporto non ben definito che la legava ad Albert. La gita a Lakewood aveva segnato un punto di svolta, o almeno così aveva creduto. Ora non era rimasto più nulla di non detto tra loro, e si era convinta che entrambi avessero manifestato i propri sentimenti. Più o meno. Solo che poi, da lì, non si erano più mossi. Nessuno aveva più toccato l’argomento e lei non sapeva proprio cosa pensare. Si erano visti, divertiti, erano andati a pescare e fatto più di un pranzo domenicale molto piacevole alla casa di Pony. Ma per quanto riguardava il loro rapporto…

Estrasse dal cassetto dello scrittoio la copia dell’atto che avrebbe fatto di lei una ragazza libera o una figlia adottiva a tutti gli effetti, e se lo girò più e più volte tra le dita.

Bah! — esclamò frustrata, lasciando cadere il foglio sullo scrittoio. — Chi capisce Albert è bravo!

Sì, ma intanto lei cosa avrebbe dovuto fare? Prendere il toro per le corna e chiedergli esplicitamente: “E adesso come la mettiamo?” No, non era decisamente il caso. E si sarebbe vergognata da morire. Baciarlo di punto in bianco, vedere la sua reazione e allo stesso tempo che effetto avrebbe avuto su di lei? Certo, ci aveva pesato spesso, e ogni volta, chissà perché, si era ritrovata a starnutire. Ma nemmeno quella le sembrava proprio un’ottima idea. Non stava bene, una ragazza a modo non si sarebbe mai comportata così, e poi aveva una fifa tremenda della sua reazione. Davvero non sapeva che pesci pigliare! Con Anthony e con Terry non era stato così complicato, tutto era successo in modo molto naturale, e lei non si era arrovellata il cervello nel tentativo di comprendere come stessero le cose fra loro. Certo, non aveva avuto con loro il rapporto che aveva con Albert, in fondo aveva fatto parte della sua vita praticamente da sempre, ma era meglio non pensare a quel discorso e a quanto le avesse nascosto perché la cosa un poco la faceva ancora arrabbiare. Ma forse, in effetti, era proprio quello il problema: lo conosceva bene, molto bene, anni di convivenza lasciano il segno, eppure ora aveva la sensazione di non conoscerlo affatto.

Guardò fuori dalla finestra e lasciò che lo sguardo si perdesse nel buio, in lontananza, oltre le sue colline. Lì in fondo, da qualche parte in quella direzione, c’era Chicago. Come si sarebbe presentata a quella festa, in qualità di cosa? Ecco, quella forse era proprio la domanda giusta da porgli.

Doveva parlargli. Il fine settimana seguente sarebbe andata a Chicago. Sì, era la cosa migliore da fare. Senza avvertirlo però, avrebbe dovuto prenderlo alla sprovvista. Era l’unico modo per riuscire a scucire qualcosa di bocca ad Albert, e anche anche… era più bravo di lei, molto più bravo di lei a mascherarsi e rigirare i discorsi a suo favore, purtroppo!


**********


E così, il venerdì mattina seguente, armata di cappellino e una piccola valigia al seguito si avviò di buon ora lungo la stradina che dalla Casa di Pony scendeva serpeggiando fino al villaggio. Aveva fatto un’alzataccia, ma se voleva prendere il piccolo (e unico) autobus che dal villaggio l’avrebbe portata a Chicago non aveva altra scelta. Un treno sarebbe stato sicuramente più comodo – e più veloce - ma la ferrovia di lì purtroppo non passava. Era già un miracolo che partisse un autobus una volta al giorno, e se non si fosse affrettata avrebbe anche rischiato di perderlo.

Assonnata e più determinata che mai salì sulla corriera e pagò il biglietto al conducente, sistemò la valigia con una certa fatica nel portabagagli sopra la sua testa, prese posto e appoggiò la testa sul vetro del finestrino. Bene, era l’unica passeggera, e avrebbe anche potuto dormire un po’ lungo il tragitto. La sua determinazione a portare a termine il progetto era più forte che mai, solo le gambe, una volta seduta, avevano iniziato a tremarle un po’. Finché a tremarle erano solo le gambe, ad ogni modo, andava tutto bene. Sperava solo che fosse il cuore, inspiegabilmente o per qualche motivo, a non iniziare a farle brutti scherzi.


Uscita dalla stazione di Chicago si chiese se fosse il caso di raggiungere Albert direttamente in ufficio e fargli una sorpresa o attendere il suo ritorno alla residenza degli Ardlay. Non ci aveva pensato durante il viaggio, ma trascorrere l’intera giornata da sola con la Prozia nell’attesa non era una prospettivo molto allettante. Rimase qualche istante ferma, con la valigia in mano, a valutare quale direzione prendere. Decise infine di fare una passeggiata, e godersi un poco la città. La valigia al seguito non era particolarmente pesante ma nemmeno il massimo della comodità, ma di sicuro le avrebbe fatto perdere un po’ di tempo nell'attesa di decidere quale direzione imboccare.

Fu proprio nel momento in cui rialzò il capo dopo aver posato la valigia su un gradino per riposarsi un poco che lo vide. Sbatté più volte le ciglia per essere sicura che non si trattasse di un abbaglio e si avvicinò lentamente alla vetrina della pasticceria che affacciava sul marciapiede. Nessun abbaglio, quello era proprio Albert… e in compagnia di una bellissima donna mora, vestita in abiti eleganti e alla moda, e dall'atteggiamento estremamente raffinato. Ma soprattutto, notò con sorpresa, estremamente intimo. Aveva appoggiato una mano sull'avambraccio di Albert, e rideva per qualcosa che lui doveva averle detto.

Rimase incuriosita a osservare la scena con il naso a un palmo dal vetro, finché la donna non sembrò notarla e indicarla ad Albert , e lei lo vide voltarsi nella sua direzione. L’espressione sorpresa sul volto gli si allargò in un sorriso e Candy fece istintivamente un passo indietro aggiustandosi il cappello appena lo vide alzarsi dal tavolo per raggiungerla.

Ciao! — le disse allegro, lasciando trasparire tutta la sua sorpresa. — Cosa ci fai tu qui?

Ciao — gli rispose imbarazzata per essere stata colta in flagrante, e ricordandosi all’improvviso di aver lasciato incustodita la valigia. — Sono venuta a fare delle commissioni per Miss Pony e Suor Lane, e già che c’ero farti una sorpresa.

Aveva detto la prima cosa che le era passata per la testa, e si sentì in colpa, perché non le piaceva mentire, tanto meno ad Albert. Però, in fondo, era solo una mezza bugia… e non poteva di certo dirgli lì in mezzo a un marciapiede il motivo della sua visita, soprattutto dopo averlo visto con quella donna! Lui sorrise, le fece l’occhiolino e la invitò ad entrare.

Vieni, ti presento una persona.

Lo seguì titubante all’interno del locale e un profumino delizioso le solleticò le narici. Aveva una fame tremenda, ma anche se l’idea era allettante non poteva certo pranzare in una pasticceria! La sua attenzione era tutta presa dalle fette di torta messe in bella mostra in vetrina, finché non si accorse di aver raggiunto il tavolo e di dover salutare quella che le era appena stata presentata come “Anice Anderson”, giornalista per il Chicago Tribune. Vista da vicino quella donna era ancora più bella. Gli occhi, di un azzurro intenso, spiccavano intelligenti e in netto contrasto con la chioma nera come l’ebano raccolta sulla nuca in un morbido chignon. La pelle, in compenso, era bianchissima, e talmente perfetta da sembrare di porcellana.

Piacere di conoscerti, Candice.

Pure la voce era meravigliosa, calda e vellutata. Candy si riscosse, non era proprio il caso di rimanere imbambolata ad ammirare tanta bellezza ed eleganza.

Il piacere è mio, signorina Anderson — rispose, ricambiando la stretta di mano. — Chiedo scusa per l’interruzione, è che non mi aspettavo di trovare Albert proprio qui.

In pasticceria, intendi dire?

Albert rise, e le scostò dal tavolo una poltroncina in velluto turchese per farla accomodare.

Sì. Questo è un posto dove di solito è facile trovarci me, non lui!

Anice sorrise alla spontaneità della ragazza, e bevve un sorso di cioccolata calda dalla sua tazza fumante.

Stavamo accordandoci su un articolo che dovrebbe uscire la settimana prossima — le spiegò Albert, e richiamò con un cenno della mano l’attenzione del cameriere.

Se riuscirò a scucirti qualcosa di più di ciò che mi hai raccontato finora — puntualizzò Anice, ammiccando complice verso Candy. — Tu sei la sua figlia adottiva, giusto?

No, non esattamente — la contraddisse Candy, dopo aver ordinato a sua volta una cioccolata calda con tanta panna sopra e una sostanziosa fetta di torta alle nocciole.

Non ancora, almeno — puntualizzò Albert, e Candy lo fissò sbalordita. — Ma questo discorso preferirei evitarlo, Anice, e di sicuro non voglio che venga menzionato nell’articolo.

Come vuoi — assentì la donna, apparentemente disinteressata alla questione. — Di cosa ti occupi, Candy?

Intende il lavoro? Sono un’infermiera.

La donna alzò un sopracciglio.

E ti piace?

Certamente. Amo il mio lavoro! — affermò decisa e chiedendosi perché mai avrebbe dovuto non piacerle, per poi ringraziare il cameriere che le aveva appena deposto sul tavolo il suo pranzo alternativo.

Lavori qui a Chicago?

No, al villaggio dove sono nata, nella clinica del dottore che ha curato Albert quando aveva perso la memoria.

Avevi perso la memoria? — la donna spostò velocemente lo sguardo su Albert e la cioccolata sul piattino, incuriosita e allarmata.

Per un breve periodo, sì.

Breve mica tanto pensò Candy, e si chiese perché Albert avesse mentito a quella donna.

E lo hai curato tu? — incalzò Anice, tornando a fissare Candy. La risposta però fu bloccata sul nascere dal diretto interessato alla questione.

Basta così, Anice.

L’occhiata che si scambiarono lasciò Candy di stucco. Nessuno aveva mai guardato Albert in quel modo. Scorreva una conversazione muta tra loro, dalla quale lei si sentiva totalmente esclusa.

Voi… ehm… vi conoscete da molto? — chiese infine, nel tentativo di spezzare quella strana tensione e il silenzio che erano piombati tra loro.

Da quando ha rivelato il suo nome al mondo — rispose Anice senza guardarla, riportando l’attenzione sulla sua cioccolata. — L’articolo che ha fatto lo scoop l’ho scritto io.

Non moltissimo allora, stabilì Candy. Eppure…

Albert ed Anice ripresero a discutere sull’articolo, più o meno un resoconto dell’ultimo colpo messo a segno da Albert su una scalata a un qualche titolo. Non vi prestò molta attenzione, catturata com’era dall’osservare lo strano atteggiamento tra i due. Si conoscevano bene, il distacco formale doveva essere solo di facciata. E lei mostrava una confidenza nei confronti di Albert che Candy non considerò affatto usuale. E lo toccava un po’ troppo spesso.

Si prese tempo per studiarli con calma, tra un sorso e l’altro della sua cioccolata. Avevano uno strano modo anche di parlare, che mostrava allo stesso tempo confidenza e distacco. Come se ci fossero dei buchi nella comunicazione, e lei cercasse di colmarli. Sembrava incuriosita, e voler sapere. Forse era dovuto alla sua formazione da giornalista, eppure non dava l’idea di conoscere Albert poi così bene. Forse conosceva solo una parte di lui. Come era accaduto a lei, d’altronde. E forse, anzi, senza forse, le accadeva ancora.

Bene, direi che per oggi possiamo concludere qui il nostro incontro, Anice.

La voce di Albert la riscosse bruscamente dai suoi pensieri, e notò che Anice aveva già iniziato a infilare i suoi appunti in una borsa piuttosto capiente.

Mi ha fatto piacere fare la tua conoscenza, Candice. Mi piacerebbe approfondirla. Magari a Samhain?

Candy sussultò impercettibilmente. Dunque era invitata anche lei?

Molto volentieri signorina Anderson, anche a me ha fatto molto piacere conoscerla e scambiare due chiacchiere con Lei.

Con un’ultima occhiata ad Albert in un dialogo muto tra loro la donna raccolse la sua borsa e abbandonò la sala e Candy posò la propria tazza di cioccolata vuota sul piattino. Quando rialzò lo sguardo si accorse che Albert la stava fissando divertito.

Ho detto qualcosa di sconveniente?

No, ma hai uno sbaffo di cioccolato sul labbro.

Glielo tolse con il pollice, e lei si sentì morire dalla vergogna. Perfetto, se voleva che lui la vedesse come un’adulta forse era meglio fare più attenzione e non costringerlo a trattarla come una bambina.

Hai ancora commissioni da fare? Hai pranzato, a proposito? Vuoi ordinare ancora qualcosa?

No no… — si affrettò a interrompere quella sfilza di domande ricordando d’un tratto la piccola bugia. — Sono a posto e le commissioni le ho già terminate.

Ti fermi a casa, allora?

Se non è un disturbo.

Lui sorrise. — Sai che non lo è.

Tu piuttosto, — cambiò discorso Candy, preferendo evitare di pensare alla prozia Elroy. — devi tornare al lavoro?

Sì, l’idea era quella. Ma visto che l’intervista si è protratta un po’ per le lunghe, e che tu sei qui, se non ti dispiace ti terrò compagnia.

Un sorriso radioso si allargò sul volto di Candy, ogni minuto trascorso con Albert era un regalo meraviglioso e insperato che accoglieva con gioia. Se solo pensava a quanto lo aveva cercato, aspettato nel corso della sua vita! Solo che lui restava incomprensibile, ed era così eccitata all’idea di poter trascorrere del tempo con lui che si scordò completamente il motivo della sua improvvisata. Lo rammentò di colpo mentre erano intenti a passeggiare nel parco, notando quanto le piacesse il filo di barba che gli copriva il volto di solito rasato con cura.

Candy, tutto bene? Ti sei azzittita di colpo! Ho detto qualcosa che non dovevo?

No, no — si affrettò a rispondere, arrossendo per l’imbarazzo che le aveva causato il corso preso dai suoi pensieri. — È solo che…

Le scoccò un’occhiata curiosa con la coda dell’occhio, continuando a passeggiare.

Ecco, mi chiedevo...la signorina Anderson è la tua fidanzata?

La fissò sbalordito, prima di scoppiare in una sonora risata.

Fidanzata? E come sei giunta a questa conclusione, Candy?

Sembra che vi conosciate molto bene, e c’è una sorta di intimità tra voi. Lei è molto bella.

La scrutò con la coda dell’occhio, forse l’incontro fortuito con Anice non si sarebbe rivelato poi così inopportuno.

Sì, è una bellissima donna. Ed è vero che c’è una sorta di intimità tra noi. Ma non credo che lei voglia essere la mia fidanzata più di quanto non lo voglia io.

Candy corrugò la fronte. Non era molto chiara come risposta.

Scusami, forse non dovrei dirtelo, ma ho avuto l’impressione che lei cercasse altre risposte da te, che non c’entravano nulla con l’intervista che stavate concordando.

Albert sorrise e la guardò interessato. Quando socchiudeva gli occhi in quel modo a lei ricordava lo sguardo di un gatto.

Lo hai notato? Penso che siano molte le cose che lei vorrebbe sapere di me. Ma ci sono cose che non posso e non voglio condividere con lei.

E con me? avrebbe voluto chiedergli, ma si trattenne. — Peccato — disse invece. — Formereste una bella coppia.

Tu trovi?

Mi sono chiesta spesso che tipo di donna avresti avuto al tuo fianco, un giorno, e lei corrisponde benissimo all’immagine che mi ero fatta.

Albert rimase di stucco, e non fece nulla per mascherare il suo stupore. Si fermò.

Hai davvero immaginato la mia possibile fidanzata? E l’hai immaginata come Anice?

Non poteva crederci. Possibile che per tutto quel tempo lui avesse davvero travisato tutto?

Candy rifletteva invece su quante volte avesse immaginato la fidanzata di Albert, e quanto quel pensiero le creasse una certa agitazione.

Sì. Sei importante per me, e desidero solo il meglio per la tua vita.

Allora non dovresti immaginarmi con Anice.

Si sentì sollevata a quell’affermazione, e il cuore le si fece improvvisamente leggero.

Perdona il mio egoismo, ma sono felice che non sia la tua fidanzata. Non sono ancora pronta a perderti.

Lui la guardò perplesso, sospirò e le indicò una panchina.

Sediamoci un momento, ti va?

Candy annui, e prese posto accanto a lui, con la valigia ai suoi piedi. Non c’era stato verso di portarla da sé, l’aveva trasportata lui per tutto il tempo. Un uomo distinto in giacca e cravatta con al seguito una valigia decorata con le fragole. Le venne da ridere.

C’è qualcosa che devi dirmi, Candy?

Quella domanda a bruciapelo, con gli occhi incollati nei suoi, la prese totalmente alla sprovvista.

Perché è invitata anche lei alla festa?

Perché è scozzese.

Perché vuoi che ci venga io?

Perché ti voglio al mio fianco.

Lo aveva detto con un’aria così seria che il cuore iniziò a batterle all’impazzata. Com’era intenso il suo sguardo, e com’erano blu i suoi occhi!

Tu hai immaginato la mia fidanzata, ma che uomo immagini invece al tuo fianco, Candy?

Lei si schiarì la voce, doveva assolutamente trovare le parole giuste. Il momento era arrivato.

Non ci ho mai pensato. Realmente, intendo. Io… non ho mai sognato un ragazzo in particolare, mi sono sempre e solo innamorata. Come non lo so, ma è successo.

Lui allungò le gambe davanti a sé, pensieroso.

Perché hai così tanta paura di perdermi?

Perché… sei sempre stato parte della mia vita. Abbiamo convissuto, condiviso tante cose… non so se un’altra persona sarebbe disposta ad accettare tutto questo, e io lo so che sarebbe giusto lasciarti andare, ma allo stesso tempo vorrei tenerti legato a me. È egoistico, lo so, ma… ecco, non sono pronta. Non ancora.

Lui le passò un braccio intorno alle spalle e l’attirò a sé. Con la testa appoggiata sulla sua spalla si sentiva al caldo, e al sicuro nel suo abbraccio.

E se fossi io a non volerti lasciar andare?

Penso che lo faresti solo perché sai che averti accanto mi rende felice.

E se ti dicessi che averti accanto rende felice me?

In quel caso sarei la persona più felice del mondo!

La scostò leggermente da sé, per guardarla intensamente negli occhi, e le scostò i capelli dal viso.

Candy, io…

Albert aspetta ancora a sposarti, ti prego! Lascia che io diventi prima del tutto indipendente da te!

Sposarsi? Lui stava per dirle che era innamorato di lei e lei pensava al matrimonio con un’altra donna?

La guardò frastornato, e si accorse che pure lei non scherzava. Ma che diamine le passava per la testa, sul serio, non ci capiva più niente!

Ma chi mai dovrei sposare Candy? Non sono nemmeno fidanzato!

Lei tornò a posare la testa sulla sua spalla, delusa da se stessa. Perché gli aveva detto quelle cose? Perché non riusciva ad essere chiara e chiedergli una volta per tutte cosa provasse per lei? La storia dell’adozione le pesava sul cuore come un macigno. Forse Anice non era la sua fidanzata, ma un qualche cosa li legava di sicuro, qualcosa dal quale lei era completamente tagliata fuori. Forse davvero aveva bisogno di lei, ma perché la considerava alla stregua di una sorella.

Quel pensiero le calò di colpo un peso opprimente sul cuore. A lungo aveva considerato Albert alla stregua di un fratello, e ora che aveva realizzato che non era così, che l’affetto per un fratello, Tom ad esempio, era molto diverso da ciò che la legava ad Albert, era lui a considerarla tale. In fondo, le aveva chiesto di chiamarlo come faceva Rosemary, no?

Che stupida era stata. Si era illusa per tutto quel tempo, ed ora quella consapevolezza le era piombata sulle spalle e pesava come un macigno, e il petto le doleva come se fosse schiacciato da un bisonte dal peso di una tonnellata. Le scese una lacrima che asciugò furtiva.

Candy, mi fai una promessa? — ruppe il silenzio Albert, dopo aver riflettuto a lungo.

Annuì con il capo, e articolò un velatissimo sì.

Il giorno in cui t’innamorerai di nuovo me lo dirai?

Aspettò un poco a rispondere, perché lei, purtroppo, era già innamorata.

Solo se tu farai lo stesso con me.

Annuì e Candy, a malincuore, si rese conto che in realtà nessuno dei due aveva promesso.



**********



Candy aveva avuto le risposte che cercava. Non esattamente quelle che si aspettava, o aveva desiderato sentire, ma almeno una risposta l’aveva avuta. Forse era stato tutto un abbaglio, e anche lei aveva dato ai suoi sentimenti per lui un significato che forse non avevano. Forse aveva confuso tutto ciò che provava per lui, l’immenso amore che provava nei suoi confronti per tutto ciò che rappresentava e aveva sempre rappresentato per lei, per innamoramento? Scoprire che Albert era prima il prozio, poi il principe, l’aveva confusa e alterato la percezione dei sui sentimenti? Probabile. Ma allora perché le faceva così male?

Albert, dal canto suo, non sapeva che pesci pigliare. Non riusciva più a comprenderla, tutto in lei era sfuggente e contraddittorio. Lo attirava a sé e lo respingeva, quello che aveva creduto fosse amore nei suoi confronti forse alla fin fine non implicava il tipo di amore che aveva creduto. E sperato. Forse continuava davvero a vederlo come un fratello maggiore, e si era solo illuso. Possibile che l’amore rendesse ciechi a tal punto?

Nessuno dei due toccò più l’argomento. Trascorsero il fine settimana ridendo e scherzando, e in quei momenti sembrava davvero che il tempo non fosse mai passato dagli anni della convivenza alla Magnolia. Eppure era trascorso, e quei giorni, probabilmente, non sarebbero tornati mai più. Era un pensiero, quello, che lasciava sempre addosso ad Albert un’indefinita malinconia, e la sensazione netta e frustrante di avere a portata di mano quella felicità passata senza riuscire in realtà mai a raggiungerla.

Stava giusto ricordando i tempi della Magnolia quando qualcuno bussò delicatamente alla porta della sua camera. Si scostò dalla portafinestra aperta e invitò ad entrare.

Sorrise di fronte all’espressione buffa dipinta sul volto sorridente e leggermente abbronzato di Candy che aveva appena fatto capolino dalla porta. La vita all’aria aperta e alla casa di Pony le faceva davvero bene.

Sono venuta a provare la doccia. Posso vero?

Spostò l’attenzione sugli asciugamani e il necessaire che la ragazza portava tra le braccia e gli venne da ridere.

Certamente. Una promessa va rispettata!

Entrò nella camera eccitatissima, non vedeva l’ora di provare quella nuova invenzione dalla prima volta che Albert gliel’aveva nominata.

Ti lascio piena libertà di movimento. Prenditi pure tutto il tempo che vuoi, io vado a portare avanti un lavoro nel mio studio, nel frattempo.

Rimanere lì in camera con la consapevolezza di lei nuda sotto la doccia era fuori discussione, un tormento del quale avrebbe volentieri fatto a meno. Alla Magnolia non era così, o meglio, non gli era pesato come gli pesava ora. Cos’era cambiato? Lei, comprese. Il modo tutto nuovo che aveva di rapportarsi a lui, e che lo faceva letteralmente impazzire.

Posso davvero prendermi tutto il tempo che voglio?

L’espressione eccitata sul suo volto lo fece ridere di gusto, e l’accompagnò verso il bagno. Afferrò un asciugamano da una mensola e glielo porse.

Tieni, questo è un po’ più grande di quello che ti sei portata.

Rimase lì con l’asciugamano in mano, perché lei non lo aveva nemmeno sentito. Era rimasta a bocca aperta a guardare affascinata la grande doccia ricavata in un angolo del bagno, e totalmente aperta. Doveva uscire di lì il più in fretta possibile. Candy nuda e sotto la doccia era un pensiero che doveva assolutamente togliersi dalla testa.

Ok, te lo lascio qui sullo sgabello — le disse ridendo. — Ora ti lascio, goditi la tua doccia!

Candy si riscosse e lo salutò con un sorriso radioso. Sì, era decisamente il caso di uscire.


Rimasta sola, Candy si preparò con cura per godersi al meglio quella nuova esperienza. Dispiegò per bene l’asciugamano, posò la saponetta su una piccola mensolina accanto alla manopola del rubinetto, si spogliò con calma e aprì il getto dell’acqua, allungando tentennante una mano per accertarsi della temperatura. Le uniche docce che avesse mai fatto in vita sua erano state sotto una cascata, e la temperatura non era mai stata delle più ottimali. Refrigerante era il termine più gentile per descrivere la sensazione provata.

Che meraviglia però! Sentire l’acqua scorrerle sulla pelle le dava una sensazione di assoluto benessere. Sarebbe rimasta sotto quel getto per ore. Chiuse gli occhi e si godette il potere rigenerante dell’acqua, poi realizzò le immagini che aveva materializzato dietro gli occhi chiusi e li spalancò spaventata, arrossendo per la vergogna. Aveva immaginato Albert sotto quella stessa doccia: i capelli bagnati che gli si incollavano al viso, le sue spalle larghe , le gambe muscolose. Ma che diavolo stava facendo? No, no, no… non andava affatto bene. Era sconveniente! Iniziò a insaponarsi con foga, ma quelle immagini non volevano proprio uscirle dalla mente. Si sfregò i capelli e chissà, forse in qualche modo sarebbe riuscita a lavare via pure i pensieri! Con che coraggio lo avrebbe guardato in volto, adesso? Oh mamma, doveva fare qualcosa. Si concentrò sul profumo del sapone, un miscuglio di erbe e fiori di campo, e visualizzò le colline intorno alla casa di Pony. E la casa di Pony. E il principe in kilt. E sotto il kilt niente, perché aveva scoperto che non si indossavano le mutande. Oh Dio… ci riprovò. Casa di Pony, fiori, prati… altro che rilassante, quella doccia era un’invenzione diabolica che portava i suoi pensieri totalmente alla deriva!

Tornò a insaponarsi per bene, si sciacquò, chiuse il rubinetto e si avvolse l’asciugamano intorno al corpo, annodandolo stretto. Tamponò un poco i capelli e uscì dal bagno, ma lo sguardo le cadde sul letto. Si sedette sul bordo, allungò una mano verso le coperte e infine affondò il volto nel cuscino, riconoscendo il suo odore.

Oh Albert…

Poi si alzò di scatto, si rivestì in fretta e furia, recuperò tutti gli articoli per la toilette e gli asciugamani usati e si precipitò come una saetta fuori da quella stanza, con il volto acceso, la pelle accaldata e la testa invasa da un turbinio di pensieri sconnessi.



Seduta sul sedile posteriore dell’auto che la stava riportando alla casa di Pony Candy pensò che alla fine di quei tre giorni trascorsi a Chicago non aveva risolto nulla di nulla, e se ne tornava all’ovile più confusa che mai. Non aveva ottenuto grandi risposte, se non la conferma che Albert e quella donna, Anice, avevano una qualche relazione. E lui continuava a rimanere un mistero indecifrabile. In compenso, si era resa perfettamente conto che non era stata vittima di alcun abbaglio: nessuna persona normale avrebbe fatto i pensieri che aveva fatto lei su quello che considerava il proprio fratello. Doveva farsene una ragione: era davvero, davvero innamorata di lui. Dichiararsi apertamente però era fuori discussione. Non voleva rovinare il rapporto tra loro, ed era sicura che se i suoi sentimenti non fossero stati ricambiati nulla tra loro sarebbe mai potuto tornare come prima. Che situazione incresciosa!

Aveva davvero creduto che lui provasse qualcosa nei suoi confronti, insomma, si era anche rivelato come principe, e invece… prima la vuole adottare, poi lo scopre avere una relazione ambigua con un’altra donna e infine non aveva recepito nulla dei suoi tentativi di dichiarazione. Però aveva notato alcuni sguardi che era sicura non fossero quelli che normalmente si riservano a una sorella. Oppure soffriva di traveggole e aveva immaginato tutto. Alle volte capita alle persone innamorate. Forse era stato quello? Esisteva un modo per fargli capire chiaramente ciò che provava senza metterlo in una situazione difficile e senza via d’uscita? Non era brava in queste cose, troppo spontanea e sincera. Ma allora come uscirne? Come non perdere Albert? Forse avrebbe dovuto entrare definitivamente nell’ottica delle idee che un giorno, per forza di cose, il loro rapporto sarebbe stato irrimediabilmente compromesso. Ma lei… l’idea di perdere Albert era ogni volta un pugno nello stomaco che le faceva un male cane. E il problema maggiore era che non sapeva nemmeno con chi confidarsi, perché il suo unico confidente era sempre stato solo lui. E la conosceva così bene che non poteva non aver capito la sua situazione e i suoi sentimenti, quindi era ovvio che non la volesse, non in quel senso almeno.

Un incolmabile senso di vuoto le si allargò nel petto, talmente grande che iniziò a temere potesse risucchiarla tutta dentro.

Un mese. Un mese e lo avrebbe rivisto.

E poi?


**********


Si svegliò di soprassalto, nel cuore della notte. Accaldato, con il cuore in tumulto e tremendamente eccitato. Il sogno era stato così vivido che gli sembrava fosse tutto accaduto realmente. Ricordava ogni singolo particolare: sentiva ancora il suo profumo di erba e di sole nelle narici, i suoi sussurri nelle orecchie, la sua pelle morbida sotto le dita e il suo volto eccitato lo vedeva ancora stagliarsi nettamente contro il buio del soffitto.

Si alzò dal letto, infilò la vestaglia adagiata sulla poltrona accanto e uscì sulla terrazza. Le temperature si erano abbassate notevolmente negli ultimi giorni, in fondo era ormai la fine di ottobre, ma non così abbassate da riuscire a schiarirgli la mente e confortare la pelle accaldata. Non aveva mai fumato in vita sua, ma se avesse avuto una sigaretta a portata di mano, in quel momento, l’avrebbe accesa.

Non aveva mai fatto un sogno come quello, prima. Non con lei, almeno, e la questione lo metteva a disagio. Appoggiò le mani alla balaustra e le vide bianche, quasi eteree sotto la luce bianca della luna. Pensò che era trascorso davvero molto tempo dall’ultima volta che era stato con una donna, ma anche volendo, sapeva che ora non gli sarebbe stato poi di molto aiuto. Voleva lei, e ed era un desiderio così forte da fare male. Essere innamorati era una bella sensazione, indubbiamente, ma complicava enormemente le cose, almeno per lui, e almeno in quel campo. Era sempre stato libero: di muoversi, pensare, agire. Se l’era conquistata quella libertà e avervi rinunciato, per un bene superiore, era stata una sua scelta, libera anche quella. Ma l’amore ti lega a una persona, c’è poco da fare al riguardo, e lo aveva compreso da tempo, ormai.

Il sogno tornò vivido nella sua mente, quasi fosse un ricordo reale. E con il sogno si acuì l’eccitazione. Sbuffò, e appoggiò i gomiti alla balaustra di marmo. Nemmeno quella riusciva a trasmettergli refrigerio. Che cosa gli stava succedendo? Non era mai stato un problema, prima. Era precipitato tutto dopo la gita a Lakewood. Aveva creduto di essere ricambiato nei sentimenti, e quella consapevolezza aveva rotto gli argini. Il desiderio di lei si era fatto giorno dopo giorno, notte dopo notte, sempre più insistente. Ma un sogno così...Se le avesse detto quanto la desiderava l’avrebbe sicuramente spaventata. Non voleva pensasse che il suo fosse solo desiderio fisico, un’esigenza prettamente fisiologica. Che sì, lo era, ma non solo...voleva lei, e la soddisfazione che cercava, l’urgenza che provava, solo lei sarebbe stata in grado di alleviarla. Come non spaventarla, però, come farle comprendere ciò che provava senza allontanarla da lui? L’avrebbe aspettata, questo sì, non avrebbe mai fatto nulla per arrecarle danno o dispiacere, ma… era una tortura! La fisicità che tra loro non era mai stata un problema ora iniziava ad esserlo, perché dubitava di riuscire ancora a lungo a starle accanto reprimendo l’impulso di baciarla. E non era sicuro che sarebbe riuscito a limitarsi ai baci. Certo, lo avrebbe fatto, ma ne sarebbe uscito distrutto. Rise tra sé e sé. Era solo tremendamente eccitato, l’indomani avrebbe ragionato con maggior lucidità. E l’indomani lei sarebbe arrivata a Chicago per la festa di Samhain.

Chissà lei, in quella sua testolina divenuta inaccessibile a lui, che cosa pensava. Ci aveva provato a dichiararsi, ma era sempre riuscita a interrompere il momento, e a fargli sorgere mille domande sull’opportunità di quella dichiarazione. Eppure, doveva farlo. Per se stesso, per lei, per quella situazione che stava diventando ingestibile. A discapito delle parole, non poteva aver frainteso determinati sguardi e imbarazzi. Chissà se anche lei aveva iniziato a pensare a lui in quei termini, se anche lei si svegliava nel cuore della notte dopo aver sognato di fare l’amore con lui. Chissà se anche lei, poi… Aveva bisogno di una doccia fredda, subito! Cosa diamine gli passava per la testa, Candy era una ragazza pura e innocente come poche. Anzi, nessuna. Non era un uomo, e non era come lui. Si vergognò di quei pensieri, eppure non riusciva a toglierseli dalla testa. Rientrò in camera, sfilò la vestaglia dalle spalle e completamente nudo si avviò al bagno. S’infilò sotto la doccia che era una bella invenzione, sì, ma l’acqua non era fredda quanto avrebbe voluto, e offrì il viso a quella cascata che sperava riuscisse a lavargli via insieme al sonno anche quei pensieri assillanti. Dio quanto la amava! E quanto la desiderava! Se solo lo avesse immaginato, o avesse sospettato i pensieri che in quel momento gli vorticavano nella testa sarebbe fuggita lontano da lui a gambe levate!

Doveva darsi una calmata. Nemmeno a quindici anni si era sentito così eccitato, impotente e frustrato come si sentiva in quel momento. Gli venne da ridere e da piangere allo stesso tempo, e con la coda dell’occhio intravvide qualcosa che attirò la sua attenzione. Prese il pezzo di sapone tra le mani e ne annusò il profumo. Era il sapone di Candy, lo aveva lasciato lì l’ultima volta che era stata a Chicago e aveva voluto provare la doccia. Chissà se lo aveva davvero dimenticato o lo aveva lasciato lì apposta. Non se l’era mai chiesto prima. In quel momento, però, respirare quel profumo che tanto gli ricordava lei gli acuì il dolore e il desiderio. Gli piaceva pensare che l’avesse lasciato lì apposta per lui, e se non si fosse trattato di Candy, ci avrebbe anche creduto. Chiuse gli occhi.

Si vergognava dei suoi pensieri ma non poteva farci niente. La desiderava, disperatamente.



**********


Arrivò a Chicago il giorno prima di Samhain, un trenta di ottobre freddo e nuvoloso. Il mese era trascorso in fretta, di Albert non si era vista nemmeno l’ombra e lei aveva cercato intensamente e in tutti i modi di non pensarci. Ora però, lo sapeva, era giunta per lei la resa dei conti.

La villa era completamente addobbata a festa: bandiere della Scozia con la croce bianca su campo azzurro spiccavano ovunque, insieme a cimeli, armi, spade e tartan verdi e neri. L’effetto era sontuoso e barbaro allo stesso modo.

No — rise lui, riponendo sul suo appoggio la spada che le stava mostrando. — È un abbigliamento tipico maschile. Puoi indossare l’abito che preferisci.

Peccato. Posso usare però un tartan con i colori della tua famiglia?

Certamente. Sarebbe un onore per me. Vieni! — le disse, invitandola a seguirlo dopo averla presa per mano. — Ne ho fatto confezionare uno apposta per te.

Giunti nella sua camera estrasse dall’armadio un tessuto ripiegato con cura e lo dispiegò di fronte a lei.

Puoi indossarlo come preferisci, ma andrebbe portato così — le spiegò, avvolgendoglielo intorno alla vita e alle spalle— E qui andrebbe fermato con una spilla.

Teneva insieme i lembi sulla spalla sinistra di lei, e la guardò, attendendo una sua risposta. Ma era troppo concentrata a ricordare il modo in cui l’aveva avvolta, e lui sorrise.

Posso usare la mia?

Ci rimarrei male se non lo facessi.

Oh Albert! — gli rispose riconoscente, circondandogli il collo con le braccia e stringendosi a lui. — La indosserò con estremo orgoglio. Grazie!

Ricambiò il suo abbraccio imbarazzato. Per quanto ci provasse, per quanto lo imbarazzasse tremendamente, non riusciva proprio a togliersi il sogno della notte precedente dalla testa. E lei non lo aiutava di certo.

Un rimestio al piano inferiore e voci conosciute attirarono d’un tratto l’attenzione di Candy.

Annie! Archie! Sono arrivati!

Lo sguardo le si era illuminato di gioia e Albert sorrise sciogliendosi dal suo abbraccio.

Ti dispiace se…

No Candy, scendo anch’io — le rispose divertito. Quell’interruzione era stata davvero provvidenziale. La seguì con lo sguardo correre lungo le scale e saltare al collo di Annie tra grida di gioia e risate, e pensò che in quella casa la presenza di una persona come Candy sarebbe stata davvero una benedizione. Dio solo sapeva quanto quelle mura avessero bisogno di allegria, risate e aria nuova.



Candy, che ne dici di preparare qualche zucca come facevamo da bambine? Poi ci metteremo dentro una candela, così i morti troveranno la strada di casa.

La Prozia non si arrabbierà?

La proposta di Annie l’aveva fatta sorridere, ma non era sicura che in quella casa le zucche intagliate sarebbero state viste di buon occhio.

No, è una tradizione. Albert ne ha fatte arrivare un bel po’ tra cui scegliere. Vieni con me!

La trascinò sul retro della villa, dove Archie era già intento a svuotare le sue zucche per Stair ed Anthony.

Ecco qui. Io ne ho già finita una. Come vi sembra? — chiese orgoglioso, alzando una delle sue creazioni per mostrarla alle ragazze.

Sufficientemente orrenda! — asserì Candy, soppesandola tra le mani. — Dobbiamo farne una per ogni finestra?

Se intendi finire per il prossimo Sahmain, accomodati!

Annie rise e Candy scelse la zucca più grande e tonda che riuscì a trovare. Poi ne scelse altre due, una buffa, l’altra con un tocco di eleganza nell’arricciarsi del picciolo. Tre zucche voleva intagliare, tre persone avrebbe voluto che tornassero in quella casa, quella notte. Poi ci pensò su, e ne scelse altre due che parevano fare proprio al caso suo. Cinque zucche da spolpare e intagliare non era un lavoro di poco conto, ma con buona volontà e tanta lena ci sarebbe riuscita. E forse il lavoro l’avrebbe anche distratta un po’.

Chiacchierarono e lavorarono, lavorarono e chiacchierarono tutto il pomeriggio. Avevano tante cose da raccontarsi, soprattutto Archie ed Annie sembrava non avessero mai abbastanza aneddoti di cui renderla partecipe. La loro vita era davvero piena, tra studio, lavoro in famiglia per Archie e vita sociale, e Candy si ritrovò a invidiarli un poco. La sua vita tranquilla tra casa di Pony e Clinica Felice le piaceva, ma ogni tanto, come in quei momenti, veniva assalita da una strana sorta di nostalgia per il tempo passato trascorso insieme ai suoi amici. Patty non era potuta venire, purtroppo, perché impegnata a preparare un paio di esami piuttosto corposi. Era tanto che non la vedeva, e decise che al più presto, una volta passata la sessione d’esame, si sarebbe organizzata per andare a farle visita. Peccato non avesse scelto di studiare a Chicago!

La voce di George la distrasse dai suoi pensieri. Albert aveva richiesto la presenza di Archie, e il ragazzo dopo un occhiolino alle sue dame e un aggiustata al ciuffo ricaduto sugli occhi, lo seguì senza indugio.

Adesso che siamo sole vuoi dirmi cos’hai, Candy?

Annie aveva sussurrato quelle parole senza interrompere il suo lavoro, e Candy incise più a fondo con il coltello la polpa che intendeva asportare.

Sono un po’ preoccupata per la festa di stasera.

Annie la guardò dubbiosa.

È per questo che hai stampato in faccia il sorriso del “va tutto bene anche se il mondo va a rotoli”?

Non poteva mentire ad Annie, lo sapeva. Era sua sorella, e la conosceva come la sue tasche. Ma non poteva renderla partecipe del suo problema. Non prima di averlo fatto con Albert.

Non va tutto a rotoli. Solo un po’. Ma sono diventata un esperta ad aggiustarlo, sai?

Sollevò in aria il suo coltellino da scavo ed Annie si ritrasse istintivamente di lato, spaventata, poi si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere complici.

Va bene, ho capito, non me lo vuoi dire. Puoi dirmi almeno perché cinque zucche?

Per Anthony, Stair, Rosemary e i genitori di Albert.

Annie la osservò scavare con foga nella sua zucca, e un barlume di comprensione le si accese nello sguardo.

È un pensiero gentile. Albert lo apprezzerà molto.

Lo spero Annie — rispose, concentrata nel suo lavoro. — Lo spero davvero tanto.


Una volta finito di intagliare le sue zucche raccolse insieme ad Annie la bacinella con la polpa da portare alla cuoca e vi posò sopra le zucche intagliate. Si avviò di gran lena verso le cucine, aiutata dall’amica, poi si diresse nel salone della festa, dove era intenzionata a scegliere le finestre migliori per posizionarvi le sue zucche. Quando l’ultima candela fu inserita all’interno dell’ultima zucca posta sul davanzale della finestra prescelta e gli stoppini furono tutti accesi, si lasciò sfuggire un sospiro malinconico. Rimase qualche minuto a osservare il suo lavoro, e pensò che non aveva mai preso così seriamente quella ricorrenza come stava facendo quella sera. Il sole era tramontato ormai, le candele all’interno delle zucche erano state accese, i morti avrebbero ritrovato la loro casa, insieme al cibo e al ristoro. Spinta da un pensiero irrazionale si avvicinò a una delle grandi finestre per cercare nel buio la figura di un fantasma conosciuto.

Archie mi ha detto che hai intagliato cinque zucche. È un pensiero molto gentile, ti ringrazio.

La voce calda e gentile di Albert alle sue spalle la fece sussultare.

Ero così assorta che non ti ho nemmeno sentito arrivare. Le ho scelte con cura, sai?

Lo so. Le ho riconosciute senza nemmeno sapere che le avessi intagliate tu. Quella di Anthony è la più grande, quella di Stair la più buffa, quella di Rosemary la più elegante. E ti ringrazio per aver unito tra loro quelle dei miei genitori.

Candy sorrise leggermente imbarazzata. Aveva davvero messo tutto il cuore nell’intagliare quelle zucche, e il suo desiderio era tanto irrazionale quanto sincero. Tornò a posare lo sguardo nel buio del parco, oltre la finestra, e quando parlò la sua voce fu un sussurro appena percettibile.

Tu pensi che verranno? Riconosceranno le zucche che ho scelto per loro a indicargli la via?

Sentì la mano di lui posarsi sul suo fianco e attirarla a sé per abbracciarla stretta, e il suo respiro tra i capelli.

Sì Candy. Sono sicuro che loro la strada l’abbiano trovata nel momento stesso in cui tu hai acceso quelle candele, e che siano già qui.

Le venne da piangere per quella sua gentilezza, e non si sentì più così sciocca nell’aver voluto credere a tutti i costi in quella fiaba. Lo ringraziò e comprese che lui aveva capito che lo stava facendo dal profondo del cuore.

Puoi chiedere ai servitori di assicurarsi che le candele siano sempre accese all’interno delle zucche?

Certo Candy. Dirò loro di fare particolare attenzione a quelle presenti in questa sala.

Le fece l’occhiolino e lei sorrise di rimando, riconoscente.

Però ora è meglio se vai a prepararti per la festa. Tra poco arriveranno i domestici per gli ultimi ritocchi, il tempo stringe!

La festa, se ne era quasi dimenticata. Annie aveva promesso che le avrebbe acconciato i capelli, e lei doveva ancora lavarli. Salutò Albert in fretta e furia e si precipitò su per le scale a cercare l’amica. Era in ritardo spaventoso, accidenti a lei!



**********


La festa era davvero una meraviglia. Gli invitati erano talmente tanti che ne aveva perso il conto, per non parlare dei loro nomi. Erano tutti americani di origine scozzese, e molto legati alle tradizioni, a quanto sembrava. Gli uomini indossavano tutti i kilt, e lei cercò di non pensare al fatto che sotto non indossassero le mutande. Ogni volta che faceva quel pensiero scoppiava a ridere, e non era molto ben educato. Anche Albert aveva indossato il kilt, e le era impossibile non rivedere in lui il suo principe della collina. Ogni volta che posava lo sguardo su di lui avvertiva un vuoto nello stomaco e un tuffo al cuore. E aveva ragione: suonava la cornamusa meglio di chiunque altro lì presente. La sua musica era calda, personale, avvolgente. Aveva scambiato solo poche parole con lui, e più che altro per le presentazioni. Ogni volta che ne incrociava lo sguardo, però, i suoi occhi riflettevano una luce diversa, che le faceva sobbalzare il cuore. Il principe nei suoi ricordi era giovane, bello, solare. Questo che aveva dinnanzi agli occhi era un uomo fatto, ma altrettanto bello, e altrettanto solare. Le sue spalle erano più ampie, la pelle del suo viso più ruvida,le mani grandi, forti e calde. Conosceva bene il loro calore, e le mancava terribilmente.

Doveva riscuotersi, e pensare ad altro. Non pensava che avrebbe mai potuto dirlo, ma si sentiva perfettamente a suo agio. La compagnia di Annie e Archie era preziosa e la prozia non l’aveva considerata più di tanto, il che era una gran fortuna. E poi si stava divertendo un mondo, gli inviti a ballare erano continui e i suoi cavalieri piuttosto simpatici. Amava chiacchierare e a quelle persone, a quanto sembrava, piacevano pure le sue chiacchiere.

Al centro del parco era stato allestito un grande falò, e le avevano detto che gli invitati avrebbero portato a casa una lanterna accesa con quel fuoco, come fosse una sorta di benedizione. Ne voleva una anche lei, da portare con sé alla casa di Pony. La chiese ad Albert, e scoprì che lui aveva già preparato una piccola lanterna apposta per lei. Non ci pensò due volte: si avvicinò al grande falò e rubò una fiamma guizzante per accendere il suo stoppino. Poi, contenta come una bambina, corse a portarla al sicuro nella sua camera da letto, sotto lo sguardo divertito e struggente di Albert.

Fu nel momento in cui si avvicinò al buffet che la sua allegria si tramutò in qualcosa di decisamente inaspettato.

Ciao Candice! — la salutò una voce morbida e familiare. Sono Anice. Ti ricordi di me?

E come dimenticarla? Quella sera, poi, era più splendida che mai.

Buonasera signorina Anderson. Certo che mi ricordo di lei!

Bella festa, non è vero? — constatò, prendendo dal vassoio alcuni pasticcini per deporli su un piattino che teneva in mano. — Tu però non sei scozzese. Non ti ho mai vista a prima a questo raduno. Sei qui in qualità di…

Non lo so nemmeno io, a dire il vero. In qualità di ex figlia adottiva, immagino.

La donna mascherò una risatina e le scoccò uno sguardo sornione.

Già, capire Albert non è impresa da poco. Dopo tutto questo tempo non so ancora niente di lui.

Capire Albert è del tutto impossibile — precisò, e su quel terreno si sentiva molto ben ferrata. — E quando pensi di esserci riuscita lui ti sbaraglia tutte le carte e comprendi che in realtà non avevi compreso un bel niente. Ma è una persona speciale e non esiste un altro uomo come lui, al mondo.

Si direbbe quasi che tu ne sia innamorata.

Candy avvampò, e infilò un pasticcino in bocca per mascherare l’imbarazzo.

Gli voglio molto bene — spiegò, una volta assorbito il colpo. — Lui ha fatto moltissimo per me e gli sarò riconoscente a vita.

Ho l’impressione che non sia la riconoscenza che vuole da te. Come non la cerca in me, d’altronde.

Candy la fissò confusa. Si conoscevano appena e le parlava in quel modo?

Porti molto bene quel tartan, Candice. E anche l’abito ti sta d’incanto — si affrettò a cambiare argomento Anice. — Vedo che indossi la spilla degli Ardlay.

Sì — rispose, portando istintivamente una mano a stringere la spilla che aveva usato per fermare il tartan. — L’acconciatura invece è tutta merito della mia amica Annie.

La fidanzata di Archibald, giusto? È una ragazza molto a modo, ed elegante.

Anche se non avrebbe saputo dire perché, il complimento alla sua amica le risuonò come un appunto per se stessa. Ma forse esagerava, ed era lei ad essere particolarmente suscettibile.

La ringrazio a nome suo, e le riferirò sicuramente le sue gentili parole.

La donna annuì, senza smettere di studiarla. E sembrava pure divertita!

Mi scusi signorina Anderson, ma cosa intendeva prima con le parole : “non è la gratitudine che cerca in Lei”?

La donna rise piano, e portò un bicchiere alle labbra.

Mettiamola così: non è la virtù che gli interessa di me, come non è il suo essere speciale che interessa a me di lui. Tanto ci basta.

Candy stralunò gli occhi, e la donna le fece un occhiolino che la lasciò ancora più basita. Le venne istintivo portare il suo calice di champagne alle labbra e lo trangugiò tutto d’un fiato. Un uomo richiamò l’attenzione di Anice, e Candy pensò bene di sfruttare l’occasione e sgattaiolare furtivamente in un angolo, per riprendersi dalla sorpresa e assimilare per bene l’informazione appena ricevuta. Sì, era vero, aveva immaginato qualcosa del genere e ci era rimasta anche piuttosto male, però averne conferma era tutta un’altra faccenda! Stava pur sempre parlando di Albert e… lei non lo aveva mai immaginato in situazioni simili. Però era anche vero che era un uomo di trent’anni, giovane e bello. Era stata un po’ ingenua, certo, solo che… era Albert!

Aveva bisogno di prendere un po’ d’aria, stare un attimo da sola e assorbire il colpo. Poteva aver capito male? No, era ingenua sì, ma non fino a quel punto! Afferrò un altro calice di spumante e si avviò verso la terrazza. L’aria era fresca, ma le persone riunite nel salone scaldavano a sufficienza anche l’ambiente adiacente alla sala. Si sedette su una poltroncina in disparte, nascosta da una pianta, e sorseggiò con calma il vino. Perché Albert l’aveva voluta lì? Non gliel’aveva ancora detto. Perché lei non aveva avuto il coraggio di chiederglielo? Voleva forse che si rendesse conto da sola di come stavano le cose? Aveva capito che era innamorata di lui e voleva farle capire che tra loro non c’era storia mettendola di fronte all’evidenza? Forse non voleva metterla in imbarazzo con un rifiuto necessario e dovuto, dato che la considerava alla stregua di una sorella, e pensava che così avrebbe accettato la proposta di un’adozione in piena regola?

Sfiorò la spilla e avvertì un enorme vuoto allargarsi nel petto. Di nuovo quella sensazione di abbandono e impotenza. E un dolore sordo, che le annodava lo stomaco e saliva a serrarle la gola, che aveva tanto sperato di non provare più. Cosa avrebbe dovuto fare, adesso? Si sentiva imprigionata in una gabbia dalle sbarre troppo strette per tentare qualunque fuga. Un uccello al quale avevano tarpato le ali, e che moriva dalla voglia di volare.

Doveva allontanarsi da lui. Doveva farlo. Per lui, per se stessa, per loro. Quando sarebbe tornata ad essere la Candy di sempre forse avrebbe anche potuto riavvicinarlo, anche perché le era davvero difficile immaginare una vita senza Albert. Ma per il momento… doveva pensare a leccarsi le ferite, e a guarire. Ce l’aveva sempre fatta, in fondo, ci sarebbe riuscita anche questa volta. Però…

Scacciò il pensiero che le era affiorato alla mente, e si alzò dal suo rifugio di fortuna. C’era una festa in corso, una bellissima festa, era stata invitata e voleva godersela. Almeno quell’ultima festa voleva godersela, senza pensare a niente. E poi c’erano Annie. Archie… i Lagan, almeno, non erano venuti e Miami per fortuna non era poi così vicina. Rientrò nel salone e accettò un ballo dietro l’altro, un invito dopo l’altro, e si rese conto, confusamente, di avere risposto di sì alla richiesta di corteggiamento da parte di un certo Connor, dagli occhi azzurri, i capelli rossi e la parlantina facile. Era stata Annie a farglielo notare, chiedendole se per caso non avesse bevuto un po’ troppo.

In realtà aveva risposto senza aver nemmeno ascoltato la domanda. Non voleva pensare, né riflettere. Voleva solo ridere, ridere e ballare.



**********



Albert si avvicinò alla grande vetrata del suo suo studio personale, e fissò lo sguardo nel buio oltre il parco illuminato a festa della villa. Gli ospiti non se ne sarebbero andati prima della mezzanotte, e solo perché il giorno seguente sarebbe stato dedicato ai defunti, e andava rispettato. Sperò che Annie fosse riuscita a comunicare il messaggio a Candy, visto che per lui non c’era stato modo di avvicinarla, dopo averla vista parlare con Anice.

Il grande falò acceso sul selciato di fronte alla villa ebbe un guizzo che catturò la sua attenzione, e in quel momento sentì bussare alla porta.

Avanti.

Annie mi ha detto che mi avresti aspettata qui, e che devi parlarmi.

Sì Candy, accomodati per favore.

Nonostante tutto, le sorrise.

Lei richiuse piano l’uscio e leggermente imbarazzata per quanto aveva sentito prese posto sul divano. Se voleva mantenere le distanze, era meglio iniziare a farlo da subito.

Connor mi ha chiesto il permesso di corteggiarti, dicendo che tu avevi accettato.

Lo fissò raggelata, e lui aggrottò le sopracciglia. — Non è ciò che è successo?

E tu cosa gli hai risposto? — gli chiese invece, realizzando solo in quel momento quel che aveva fatto.

Che la decisione è tua, e a me non deve chiedere nulla.

Candy sospirò sollevata. Sul momento, poi la sua espressione si fece allarmata.

Ho risposto senza nemmeno ascoltare la domanda, Albert. Sono stata sciocca e superficiale.

Quindi non t’interessa?

Assolutamente no! — affermò quasi offesa dal fatto che lui potesse solo aver pensato una cosa del genere. — Avevo solo voglia di ballare e divertirmi, non certo di mettermi ad amoreggiare con il primo sconosciuto che mi fa la corte!

Albert sorrise, e inclinò un poco la testa di lato per osservarla.

Sono sollevato. Però è tutta la sera che mi sfuggi, Candy. Non abbiamo ballato insieme nemmeno una volta.

Tu non me l’hai mai chiesto!

Non mi hai dato nemmeno l’occasione di chiedertelo.

Era vero, lo sapeva. Lo aveva evitato consapevolmente. Abbassò lo sguardo, per poi stringersi un poco di più nel plaid.

Hai freddo? — le chiese premuroso, e gettò un paio di ciocchi di legno nel camino acceso.

Un po’, ma solo perché vengo dal caldo della sala.

Candy… — lasciò in sospeso lui, ancora accovacciato a smuovere le braci. — Il tuo atteggiamento nei miei confronti è cambiato in seguito allo scambio che hai avuto con Anice. Non vorrei sembrarti indiscreto, ma posso chiederti cosa ti ha detto per turbarti in quel modo?

Non la guardò mentre le pose quella domanda, e lei si prese tempo per osservarlo alla luce riflessa del fuoco. Indossava pure il kilt e in quel momento il ricordo del principe si fece così vivo in lei da farle male.

Albert si rimise in piedi e si voltò a guardarla. Nel riflesso delle fiamme i suoi capelli avevano preso una sfumatura rossastra, e i suoi occhi erano più azzurri che mai.

Che avete una relazione… di sesso. Credo.

La fissò senza parole. Non avrebbe saputo dire se più per la libertà che si era presa Anice o per la tranquillità con cui Candy aveva pronunciato quella frase.

Albert a me non importa ciò che fai della tua vita, sei un uomo, sei adulto e io non ho alcun diritto di sapere certe cose. Solo che ce n’è una che vorrei chiederti.

Ancora frastornato per la piega inaspettata presa dalla conversazione prese posto sulla poltrona accanto al camino e la fissò intensamente.

Va bene, ti ascolto — disse semplicemente, talmente preso in contropiede da non riuscire nemmeno a sentirsi in imbarazzo.

Io e te ci conosciamo da tanto — attaccò Candy, stringendosi nel plaid. — Abbiamo vissuto insieme, ti ho confidato ogni cosa, credo che tu sia le persona che mi conosce meglio al mondo e vorrei tanto poter dire lo stesso di te, ma non ne sono affatto sicura. Forse quello che ti conosce meglio è George, e dovrei chiedere a lui però… ecco...— serrò le mani intorno ai lembi del tessuto, e cercò le parole giuste da dire. Lo guardò ma lui non disse niente, ricambiò semplicemente il suo sguardo in attesa che continuasse.

Noi abbiamo un rapporto speciale, giusto?

Lui annuì con il capo, chiedendosi dove mai intendesse ad andare a parare.

Io con te sto bene, mi sento a mio agio, mi conosci come le tue tasche.

Candy puoi arrivare al punto, per cortesia?

Sussultò leggermente, e annuì con il capo.

Vorrei che la mia prima volta fosse con te.

Rimase impietrito, poi sbatté più volte le ciglia, confuso.

Scusa?

Intendo il sesso. Vorrei che la mia prima volta fosse con te. Se non ti crea problemi.

Albert si schiarì la voce e distolse velocemente lo sguardo, imbarazzato e disorientato, non ancora del tutto convinto di aver capito giusto.

Candy… forse hai bevuto un po’ troppo champagne questa sera.

Sto benissimo, non sono ubriaca e so quel che dico — rispose, anche se non del tutto convinta nemmeno lei. Non sapeva esattamente quando avesse preso quella decisione, forse lo covava nel cuore da tanto, ma era quello che voleva. Perché lo amava.

Non puoi chiedermi una cosa del genere, Candy!

Con Anice non ti fai problemi.

Tu non sei Anice.

Le lanciò uno sguardo che lei non comprese, ma non era intenzionata a lasciar cadere il discorso.

Sarebbe solo per una volta, e per me importante. Non riusciresti proprio a farlo con me?

Albert aprì la bocca per rispondere ma le parole gli morirono sulle labbra e scosse la testa, incredulo. Era surreale!

Certo che ci riuscirei ma non voglio! Tu...non ti rendi conto di quello che mi stai chiedendo. Non sei in te. Per favore, Candy…

Ti ripeto che non sono ubriaca. Anche se adesso mi sento imbarazzata anch’io. Però non capisco… perché con Anice sì e con me no?

Si passò una mano tra i capelli, poi la fissò serio qualche istante, non riuscendo a trovare le parole più adatte per districarsi da quella situazione.

Con Anice non è una relazione fissa. È accaduto qualche volta, sicuramente meno di quelle che immagini tu. Ed entrambi eravamo perfettamente consci di ciò che volevamo dall’altro e perché. Non c’era alcuna implicazione sentimentale, lavorativa o altro.

Continuò a fissarla intensamente negli occhi, e vi lesse delusione, e tristezza.

Era solo sesso, Candy.

È quello che ti ho chiesto io.

Albert si pinzò la base del naso tra due dita, si sentiva incompreso, esausto, e in croce. La desiderava, la desiderava profondamente, lei gli si era offerta ed era costretto a dirle di no. Il ricordo del sogno della notte precedente gli si materializzò vivido dietro gli occhi chiusi, e lo scacciò con forza. Sembrava davvero uno scherzo di cattivo gusto. In fondo, era pur sempre Halloween.

Non potrei mai fare solo sesso con te, Candy — sussurrò a fior di labbra.

Nemmeno se te lo chiedo io? Forse è il problema è che… non ti piaccio abbastanza? Fisicamente intendo. Non sono bella lo so e…

Cristo Santo Candy! — sbottò all’improvviso, scattando in piedi. — Chiunque ti desidererebbe, direi che questa sera hai avuto prove a sufficienza al riguardo!”

Era la prima volta che lo sentiva imprecare, e sussultò dalla sorpresa. Si stava rendendo ridicola con la sua insistenza, lo aveva praticamente pregato di fare sesso con lei e se ne vergognò immensamente. Cosa le stava succedendo? Non erano da lei un atteggiamento e un comportamento simili!

Albert si avvicinò alla portafinestra e nel riflesso del vetro, nonostante le desse le spalle, lo vide serrare la mascella.

È il sesso che vuoi?

Mi renderebbe felice.

Sbuffò.

Non era questo che intendevo quando ho detto che anche in futuro avrei fatto in modo di trovare la tua felicità.

Si avvicinò al divano e rimase in piedi di fronte a lei. Non gli aveva mai visto quello sguardo. Sembrava ferito, e arrabbiato.

Alzati per favore.

Quando fu in piedi le alzò il volto con le dita e la obbligò a guardarlo negli occhi. Sembrava determinata e impaurita al tempo stesso, e scosse la testa.

Accetti la mia proposta? — gli chiese in un soffio.

No.

Candy si sentì morire. L’unica cosa che le rimaneva da fare per salvaguardare quel poco di dignità che le era rimasta era voltarsi e fuggire il più velocemente possibile lontano da quella stanza. Eppure, non riusciva a muovere un passo. Si sentiva incatenata al suo sguardo.

Quando lo vide chinare il viso sul suo il respiro le si fermò e la vista le si fece sfuocata.

. La reazione di lei fu esattamente quella che si era aspettato. Era rimasta immobile come una statua di marmo, con le labbra serrate e altrettanto fredde. Indugiò qualche istante, poi si ritrasse e fissò gli occhi nei suoi.

Non riesci nemmeno a baciarmi, Candy — sussurrò a fior di labbra.

E in quel momento lei realizzò. Sotto shock e con le guance in fiamme corse alla porta come una furia, la spalancò e fuggì dallo studio e da Albert come avesse il diavolo alle costole. Ma sapeva che era solo dal suo profondo imbarazzo e dalla sua ancor più profonda delusione, insieme al biasimo per se stessa, che stava fuggendo spaventata.


Rimasto solo Albert si avvicinò al camino e ravvivò velocemente le braci, assorto e con la mente in fermento. Sarebbe dovuto tornare alla festa ma aveva bisogno di schiarirsi le idee, e uscì sulla terrazza affacciata sul cortile anteriore della villa. Si sedette sul largo parapetto con la schiena appoggiata al muro e un piede a terra a mantenere l’equilibrio, e per un istante tornò indietro nel tempo. Non gli avevano mai permesso di sedersi in quel modo quando era piccolo, ma aveva sempre amato farlo, sprezzante del pericolo. Gli aveva sempre dato una leggera sensazione di libertà, di controllo sulla sua vita. Una folata di vento gli fece svolazzare il plaid a scacchi verdi e neri, e respirò a fondo l’odore umido di terra e foglie che aveva portato con sé. La proposta di Candy continuava a risuonargli nelle orecchie, e il sogno della notte precedente non voleva saperne di lasciare la sua mente. Se solo non ne fosse stato innamorato dirle di no sarebbe stato molto più semplice. Se pensava che il massimo della vendetta per lei era stato chiamarlo prozio non immaginava nemmeno quale tortura gli avesse inflitto quella sera. Cosa diamine era saltato in mente ad Anice per andarle a dire una cosa simile? Candy che parlava di sesso, poi, come se nulla fosse. Come se per lui fosse solo un gioco, e non significasse nulla.

Vorrei che la mia prima volta fosse con te.”

Avrei preferito dicessi l’ultima.” Gli era rimasta sulla punta della lingua quella risposta, tanto gli aveva fatto male ascoltare dalle sue labbra quella proposta. Non era da Candy un comportamento simile, però. Non era assolutamente da lei.

Le luci della festa si riflettevano all’esterno, il grande falò guizzava al cielo le sue fiamme e lui socchiuse gli occhi nel tentativo di distinguere alcune persone in lontananza. Doveva tornare alla festa, per quanto l’idea non lo allettasse per niente. Aveva indugiato anche troppo ed entro mezzanotte tutti si sarebbero accomiatati da quella casa. Si alzò controvoglia, e fissò lo sguardo oltre il buio del parco. Poi si voltò lentamente, aggiustò il plaid e sospirò forte. Non aveva scelta, le riflessioni avrebbero dovuto aspettare. E a Candy avrebbe fatto bene stare un poco da sola. Attraversò lo studio, scese le scale e gradino dopo gradino svuotò la mente di tutto ciò che non gli tornasse utile nell’immediato. Gli ospiti non se ne sarebbero andati senza ricevere il commiato del padrone di casa.


Giunta nella sua stanza Candy si gettò sul letto, raccolse le gambe al grembo, si rannicchiò su un fianco e, in silenzio, iniziò a piangere. No, non era quello che voleva. Non era quello che aveva sperato, né voluto. Perché non era riuscita a baciarlo? Era rimasta immobile come un sasso, totalmente in preda alle emozioni e al panico. Lo aveva tanto immaginato, desiderato, sperato quel bacio, e invece… Si vergognava da morire per quello che era riuscita a chiedergli, senza poi nemmeno avere il coraggio di rispondere al suo bacio. E adesso chissà lui cosa aveva capito, cosa poteva pensare di lei. Aveva rovinato tutto, per paura. E lei non era mai stata codarda. E nemmeno gelosa. Eppure le parole di Anice l’avevano toccata nel profondo, portando alla sua coscienza emozioni che non avrebbe mai creduto di poter provare. Con che coraggio lo avrebbe guardato in volto l’indomani? Oltretutto l’aveva prima rifiutata, e poi baciata per dimostrarle che non era quello che voleva. Non aveva capito niente, niente… non aveva capito nemmeno quanto quel bacio a fior di labbra fosse diventato importante per lei. Lo avrebbe ricordato sempre quel bacio, con il suo calore, la sua dolcezza, a perenne ricordo di quanto era stata stupida!

Rimase a lungo rannicchiata in quella posizione, ferita, delusa e arrabbiata. Le lacrime erano salate sulla lingua, e non ci sarebbe stata più nessuna mano calda e gentile ad asciugargliele. Quel pensiero le fece tremare le labbra e serrare la gola. Sperò che la festa giungesse in fretta alla sua conclusione e che nessuno notasse la sua assenza. Probabilmente Annie si stava chiedendo dove fosse finita, ma Albert sarebbe stato bravo a inventarsi una qualche scusa per giustificare il suo forfait, perché sapeva perfettamente e la conosceva abbastanza bene da immaginare che lei al piano di sotto per quella sera non ci sarebbe davvero riuscita più a tornare.

Un leggero bussare alla porta la riscosse dal dormiveglia agitato nel quale era caduta.

Candy, posso entrare?

La voce calda e preoccupata di Annie le serrò la gola in un nodo di pianto trattenuto.

Come stai? Albert mi ha detto che non ti sentivi bene e sono corsa a vedere.

Si sedette sul letto accanto all’amica e notate le lacrime le accarezzò dolcemente i capelli.

Cosa succede, Candy?

Oh Annie! Sono stata una sciocca questa sera, non è vero? Ho lasciato che tutti mi corteggiassero e li ho pure assecondati. Non è da me comportarmi così, Annie!

Lo so, hai stupito anche me. Ma non ci vedo nulla di male, sei rimasta sola così a lungo. Non mi sembra un buon motivo per versare tutte queste lacrime.

Non ero sola, avevo Albert.

Sai cosa intendo, Candy.

Era bello ricevere quelle carezze e quelle attenzioni da parte di Annie. Non ci era abituata, di solito accadeva il contrario. E anche questo non era da lei.

Non mi riconosco più.

La fai troppo tragica, Candy! Ti sei divertita per una sera, cosa c’è di male in questo?

Non era quello che volevo, non…

Sei così angosciata per Connor? Non vi siete mica fidanzati, ha solo chiesto di poterti frequentare!

Connor?

Ah sì, il ragazzo rosso di capelli. Se l’era già dimenticato. Se solo avesse potuto confidarsi con Annie...ma non voleva doversi giustificare, non voleva dare spiegazioni che non sarebbe mai riuscita a sostenere. Non poteva parlarle di Albert, né di quanto era successo quella sera.

Il ragazzo che ha chiesto di poterti corteggiare. — Annie le scostò i capelli dal viso e scosse la testa preoccupata. — Non so cosa ti angosci a questo modo Candy, ma non è piangendo che si risolvono i problemi. Me lo dicevi sempre tu, ricordi? Ora asciugati quelle lacrime e mettiti a dormire. Domani sarà una giornata impegnativa e importante per tutti noi. Qualunque cosa sia successa questa sera dovrà aspettare.

Candy annuì, e ringraziò l’amica con un sorriso e un abbraccio.

Ora mi ritiro anch’io, Candy. Se hai bisogno di qualcosa, sai dove trovarmi. Ti voglio bene, ricordalo!

Lo sapeva. Anche lei gliene voleva, tanto. Ma c’erano cose che Annie non poteva ancora capire. Rimasta sola si decise finalmente a togliersi gli abiti della festa che ancora indossava per infilarsi una camicia da notte che le arrivava fino a piedi e la faceva inciampare in continuazione, ma talmente soffice sulla pelle che non vi avrebbe rinunciato per nulla al mondo. Quella sera poi aveva proprio bisogno di qualcosa che la confortasse, la facesse sentire coccolata e le sfiorasse la pelle come una carezza che non avrebbe in altri modi ricevuto. Sentiva freddo però, tanto freddo, e nemmeno il letto con le sue lenzuola fresche di bucato e la coperta di lana riuscivano a sciogliere il gelo che sentiva dentro. Si alzò dal letto, e a piedi scalzi, raggiunse la camera di Annie.

Annie, per questa notte posso dormire accanto a te, abbracciate come facevamo da bambine?

La ragazza dopo un attimo di smarrimento le sorrise, alzò le coperte e le fece posto accanto a sé. Abbracciate nel buio, ascoltarono a lungo in silenzio l’una il respiro dell’altra.

Quando sarai pronta mi dirai cosa ti fa stare così male, Candy?

Te lo prometto, Annie. Ma per stanotte ti chiedo solo di potermi stringere un poco a te.

Si addormentarono così, testa contro testa e con le mani intrecciate sotto le coperte. Ma nemmeno il calore di Annie riusciva a stemperarle quel gelo che sentiva aggredirle perfino le ossa.



**********



Il giorno seguente fu totalmente dedicato alla celebrazione dei defunti. L’aria di festa del giorno prima era svanita e al suo posto aleggiava una tacita e composta malinconia. La colazione aveva risentito ancora del clima del festa, ma dalla funzione religiosa in poi gli animi si erano accordati alla commemorazione dei defunti. Dal canto suo, Candy non riusciva a togliersi dalla testa ciò che era successo la sera precedente. Albert, invece, sembrava sentirsi perfettamente a suo agio e quel suo atteggiamento le creava, se possibile, ancora più imbarazzo. E rabbia. Non era mai stata arrabbiata con lui come in quel momento. Allo stesso tempo, però, si sentiva malinconica, triste, e profondamente ferita nella sua sincerità e buona fede. Se l’era cercata, era vero, eppure…

Non riusciva ad essere spontanea, con lui, non riusciva a reggere nessuna conversazione. Non riusciva nemmeno a reggerne lo sguardo, e si sentiva terribilmente in colpa per questo. Era riuscita a rovinare tutto, e con le sue stesse mani. Non se lo sarebbe mai perdonato.

Il pranzo fu da tradizione, esattamente come se lo era aspettato. Quattro piatti però erano stati aggiunti al tavolo, ma i posti dei loro commensali rimasero vuoti tutto il tempo che Candy trascorse a immaginare i loro volti, a guardarli con la fantasia annuire, alzare un bicchiere, portare alle labbra un boccone e sorridere alle parole dei presenti in ricordo di un loro gesto, caratteristica o aneddoto. Era talmente coinvolta nel racconto di quei ricordi che le era sembrato davvero, di tanto in tanto, di vederli seduti al tavolo con loro. Anthony, Stair, Rosemary, i signori Ardlay. Poteva vederli uno a uno, e si commosse per quell’usanza di riportare in vita per un giorno le persone che abbiamo amato e non ci sono più. Ma la cosa più strana in assoluto che realizzò durante quel pranzo fu che per la prima volta, in mezzo a tutti quei fantasmi, si era sentita veramente in famiglia in quella casa.

Non dovresti angustiarti così tanto, qualunque cosa sia successa credo che dovresti semplicemente parlargli.

Rimaste sole nel salotto d’inverno a chiacchierare di fronte al camino, Annie aveva parlato senza alzare gli occhi dal suo ricamo. Gli uomini di casa erano usciti per una cavalcata nel parco, la Prozia si era ritirata per il suo riposo pomeridiano e quello era il primo momento in cui le due ragazze avevano trovato un poco di tempo per parlare.

È stato Albert ieri a chiedermi di salire da te e vedere come stavi.

Candy continuò a osservare il fuoco in silenzio, ricacciando indietro le lacrime che sentiva affiorarle agli occhi.

Albert mi ha chiesto se voglio essere adottata a tutti gli effetti.

Aveva sussurrato quelle parole pronunciandole come un liberazione. Annie abbassò il suo telaio da ricamo sulle ginocchia e la guardò stupita.

Santo Cielo Candy… non ne sapevo niente! E tu...

Ho paura di aver rovinato in modo irrecuperabile il rapporto che avevamo, Annie.

Si asciugò una lacrima e raccolse le gambe al petto. Non era molto signorile come postura, ma non le importava. Annie sospirò.

Albert è una persona ragionevole. Qualunque cosa sia successo tra voi quella strana oggi sei tu Candy, non lui.

E quella era un’altra delle cose che la facevano stare male. Candy non rispose, ed Annie non insistette. Dopo un lungo silenzio in cui ognuna si perse nelle proprie riflessioni, Annie abbandonò definitivamente il telaio sul divano, posò una mano sulla spalla dell’amica e la fissò seria in volto.

Dovresti dirgli quello che provi per lui, Candy. E poi metterti l’anima in pace in un modo o nell’altro.

Candy tirò su con il naso, e non cercò più di trattenere le lacrime che presero a scorrerle lente sulle guance. Pure Annie aveva capito!

Grazie Annie. Ma non è tutto così semplice come può sembrare.


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Aveva evitato Albert il più possibile dalla sera precedente, era riuscita ad evitare in tutti i modi di rimanere da sola con lui e trovarselo di fronte la sera, senza preavviso, nella biblioteca deserta della villa la fece sussultare e fare un balzo istintivo all’indietro.

Perdonami Candy, ti ho spaventata.

Le sorrise, ma lo sguardo che le rivolse mostrava preoccupazione.

No, scusami tu. Io… ero venuta a cercare un libro.

In biblioteca?

Lo fissò con aria interrogativa, poi capì che la stava prendendo in giro.

Se mi dici cosa stavi cercando ti posso aiutare.

Era l’Albert di sempre, gentile e premuroso. Ma lei non riusciva a guardarlo senza pensare a ciò che era successo la sera precedente. E la delusione per ciò che aveva ottenuto, la rabbia per il comportamento di lui, la vergogna per come se n’era andata le impedivano qualunque risposta. Voleva solo fuggire da lui, dai ricordi, dai pensieri e dai sentimenti. E fu quello che fece, fuggì. Senza guardarlo, lentamente, si allontanò dalla biblioteca e raggiunse Annie ed Archie intenti a chiacchierare nel salotto invernale. Come poteva far finta di nulla in quel modo pure quando erano da soli? Sperò tanto non li raggiungesse, e trasse un sospiro di sollievo quando non lo fece. Saggia scelta per lui preferire la compagnia di George quella sera, o della Prozia. Ringraziò il cielo per questo, anche se il pensiero le fece male. Già le era impossibile comportarsi normalmente alla loro presenza, con Albert ora sarebbe stato del tutto impossibile. Ma trascorse poco tempo che iniziò a sentirsi a disagio pure accanto ad Annie ed Archie. Si rendeva conto che la colpa era solo sua, i suoi amici non c’entravano assolutamente nulla. Aveva bisogno di stare sola, vedere una coppia di innamorati in quel momento era qualcosa che le faceva avvertire troppo la delusione e la solitudine. Era felice per loro, genuinamente felice. Ma aveva bisogno di ritrovare se stessa.

Dopo una lunga passeggiata nel parco della villa tornò nella sua camera e si distese sul letto, perdendosi a guardare il soffitto. Le luci ormai erano tutte state spente e il grande falò acceso la sera precedente sul viale d’entrata alla villa non mandava più i suoi bagliori a rischiarare il buio. Le lanterne a forma di zucca erano state gettate e nessun morto era realmente tornato in quella casa. Il tempo dei sogni ad occhi aperti, per lei, era finito.

Si avvolse intorno alle spalle il plaid con i colori del clan che Albert le aveva regalato il giorno prima e uscì sulla grande terrazza della sua camera da letto, impossibilitata a prendere sonno. Troppi pensieri le vorticavano nella mente, e a nessuno riusciva a dare una risposta. Come poteva Albert comportarsi in modo così naturale, dopo ciò che era successo tra loro la sera prima? Come poteva, proprio lui, essere così freddo e indifferente? Da un lato pensava che avrebbe dovuto esserne contenta, il suo terrore di aver rovinato il rapporto speciale che li univa poteva essere (forse) accantonato, dall’altra le sembrava artificioso, innaturale. Qualcosa, ad ogni modo, si era spezzato. E lei naturale non riusciva ad esserlo per niente.

Lasciò il parapetto sul quale si era affacciata e andò a sedersi sul divanetto in vimini appoggiato al muro accanto alla vetrata. Faceva parte del nuovo arredo che Albert le aveva regalato per il compleanno. Sorrise malinconica a quel pensiero, e accarezzò assorta il tessuto ruvido dell’imbottitura. Era possibile cambiare così velocemente in un paio di giorni? Eppure, sentiva di non essere la stessa Candy che era arrivata a Chicago solamente il giorno prima. Era cambiato qualcosa in lei. Si sentiva in qualche modo cresciuta, e avrebbe tanto preferito rimanere nella beata illusione nella quale si era cullata fino a poche ore prima. Si strinse nel plaid e accavallò le gambe. Nemmeno quel gesto le apparteneva. Da quando aveva iniziato a sedersi in quel modo? Gettò un’occhiata alla terrazza adiacente, e fu allora che lo vide. Seduto sul lato esterno della balaustra, appoggiato al muro, Albert la stava osservando. Da quanto tempo era lì?

Dobbiamo parlare, Candy.

La sua voce le arrivò insieme a una folata di aria fresca, gentile e dolce come sempre, ma ferma. Non glielo stava chiedendo.

Albert, per favore…

No Candy. Dobbiamo. Domani tornerai alla casa di Pony, non abbiamo altro tempo.

Sapeva che aveva ragione e non gli rispose, né lo guardò. Lo sentì avvicinarsi e scavalcare senza difficoltà il muretto che divideva le due terrazze, e in un attimo le fu accanto.

Passi sempre così da una camera all’altra? — gli chiese sbigottita, dimenticando per un attimo il suo imbarazzo.

No. Questa è la prima volta da molti anni a questa parte — le rispose sorridendo. — Posso sedermi accanto a te?

Nonostante il divano fosse bello largo lei si ritrasse comunque verso il bracciolo, e lui fece bene attenzione a mantenere le distanze.

Albert, io non so cosa dire. Sono arrabbiata, delusa, imbarazzata. Non me la sento di parlare.

Almeno puoi ascoltarmi?

Non ne sono sicura.

Lui attese qualche istante, accavallò a sua volta le gambe e abbassò il capo.

È colpa mia Candy. Ti chiedo scusa.

Erano le ultime parole che si sarebbe aspettata di ascoltare. Si voltò a guardarlo con aria piuttosto scettica, anche perché per cosa le chiedeva scusa? Aveva fatto tutto lei!

Quello che sto per dirti è un qualcosa che avrei dovuto fare molto tempo fa. Ma ho avuto paura.

Di me? — gli chiese, ancora più stupita di prima. Lui sorrise sarcastico, più per se stesso che per lei.

No, non di te. Avevo paura di perderti.

Lo fissò ancora più stralunata. Quelle parole avrebbe dovuto pronunciarle lei, non lui. Si stava ribaltando tutto, e lei non capiva più niente.

Ieri mi hai preso completamente in contropiede, mi sentivo allo sbaraglio e ho avuto reazioni impulsive. Ti chiedo scusa per non averlo capito subito.

La guardò e lei si sentì in soggezione sotto quello sguardo. Sembrava che tutte le stelle della notte si riflettessero nei suoi occhi, illuminandoli.

Tu sei bellissima Candy. Qualunque uomo ti desidererebbe, e io non faccio eccezione. Di fronte a una proposta come la tua qualunque uomo sano di mente ti avrebbe risposto di sì, ma io non posso. Non posso fare semplicemente sesso con te, perché non ci riuscirei. Tu non sei solo bella, sei tu. Ma anche se ti desidero da morire sono stato costretto a rifiutare la tua proposta. Ieri mi hai messo letteralmente in croce, perché vedevo i miei desideri realizzarsi da un lato e i miei sentimenti infrangersi dall’altro. Non posso accettare di fare sesso con te perché io con te voglio fare l’amore. Sono innamorato di te, Candy, e lo sono da tanto, troppo tempo, ormai.

Non aveva mai distolto gli occhi dai sui durnate tutto il suo discorso, e aveva visto le emozioni alternarsi in quelli di lei, e sentito il nodo che gli serrava la gola affievolirgli la voce sulle ultime parole. Abbozzò un sorriso imbarazzato e vide gli occhi di lei inumidirsi di lacrime. Ma forse erano i suoi ad essere offuscati dall’emozione.

Ecco, l’ho detto. Ti chiedo scusa per non averlo fatto prima.

Adesso lei stava davvero piangendo.

Che sciocco sei, mio piccolo Bert! — gli disse allungando una mano per accarezzargli una guancia. — Ma come hai potuto pensare che io potessi chiederti di fare l’amore con me se non provassi nulla per te?

Lui sorrise, e le coprì la mano sul volto con la sua.

L’ho capito dopo. Però devi ammettere che come dichiarazione d’amore è piuttosto inusuale.

Si trattennero entrambi dal ridere, e lei si sentiva troppo felice per provare ancora imbarazzo al ricordo.

Sono innamorata di te, Albert. Talmente innamorata da commettere sciocchezze da manuale.

Vieni qui — le sussurrò lui attirandola a sé, con una voce così calda che le sciolse il cuore, per poi farla alzare in piedi e abbracciarla stretta. E quando la baciò le sue labbra non erano più serrate e fredde come il marmo, ma calde, invitanti, e dischiuse completamente a lui.

Le gambe mi tremano talmente tanto che se non mi reggi potrei cadere.

Lui l’abbracciò più stretta, le sorrise sulle labbra e la baciò di nuovo.

Non permetterò mai che tu cada a terra, Candy. Ti sorreggerò sempre, e se nonostante questo dovessi cadere comunque sarò lì accanto a te, a rimetterti in piedi. È una promessa.

Fu lei a cercare le sue labbra questa volta, sicura che sorretta tra le sue braccia sarebbe riuscita a sopportare qualunque caduta. Rise quando lui la sollevò in aria e la fece volteggiare, rise con lui, rise per lui. Quel peso che le aveva oppresso il petto era definitivamente scomparso e si sentiva leggera, libera, felice. E le girava la testa.

Crollarono sul divanetto ancora ridendo, e lui intrecciò una mano a quella di lei.

Mi gira la testa!

Sdraiati.

Dove?

Qui. Appoggia la testa sulle mie gambe.

Le sembrò una buona idea, anche se le gambe a penzoloni sul bracciolo non le avrebbe dato un’aria particolarmente femminile. Ma seguì comunque il consiglio.

Così sei innamorato di me e mi desideri da morire.

Le labbra gli si incresparono in un sorriso trattenuto e le lanciò uno sguardo divertito.

Già.

Senti, ma con Anice tu…

Dobbiamo proprio parlare di Anice?

Bè…

Le scostò una ciocca di capelli dalla fronte e seguì il profilo del suo volto con un dito.

Candy, in questo momento non ricordo nemmeno che faccia abbia Anice.

Il modo in cui lo disse, come fosse la cosa più ovvia del mondo, le suscitò una risatina soddisfatta.

Lo trovi divertente?

No. È solo che mi sembra strano che tu possa desiderare me. Ero perfino arrivata a pensare che mi considerassi una sorta di sorellina.

Lui inarcò un sopracciglio e scosse il capo.

Non immagini nemmeno quanto, Candy.

La vide arrossire leggermente e abbozzò un sorriso. Seguì con un dito il contorno delle sue labbra, e lei socchiuse appena la bocca. — Ma saprò aspettare tutto il tempo necessario. Non è la cosa più importante.

Bè…

Lui fermò il gesto e alzò nuovamente un sopracciglio.

Cioè, dopo ieri sera credo non ci sia più niente in grado di imbarazzarmi maggiormente.

Lui continuò a fissarla, alquanto perplesso.

Ci ho pensato spesso, sai? A come sarebbe stato baciarti, fare l’amore con te. Spero solo che la mia prima volta non sia come il primo bacio che ci siamo scambiati. Morirei dalla vergogna.

Lui rise, e la coprì con il plaid che era scivolato a terra.

Un blocco di ghiaccio sarebbe stato più caldo, in effetti. — La guardò. — Dove lo hai immaginato, Candy? Dove ti piacerebbe che accadesse?

Arrossì un poco, anche perché sul luogo in sé non è che si fosse mai concentrata particolarmente.

Non saprei. Diciamo che… posso tralasciare questa parte?

Lui rise di nuovo, quanto gli era mancata quella sua spontaneità!

Lo prendo per un sì. Mi piacerebbe che fosse un luogo solo nostro, dove tu possa essere semplicemente tu e io essere me stessa. Noi due, insieme, come alla Magnolia. Forse… nel capanno a Lakewood.

Lo guardò, e la dolcezza dello sguardo che incontrò nei suoi occhi le sciolse il cuore. E quel sorriso…

Mi prenderò qualche giorno il prima possibile, verrò a prenderti e ti porterò a Lakewood. Certo, il capanno sarebbe un po’ da pulire…— Pulire era un eufemismo. Quel posto aveva bisogno di una vera e propria disinfestazione, ma era un problema assolutamente risolvibile. — Trascorreremo del tempo insieme, senza obblighi né aspettative, sarà quel sarà. A me è sufficiente stare con te, Candy.

Promettimelo Albert.

Le sorrise.

Prometto.

Rimasero in silenzio per un po’, a godere semplicemente l’uno della presenza dell’altro. Candy si cullò tra le sue braccia, era bello sentire il suo calore e le carezze delicate delle dita di lui sul viso. Si sarebbe potuta addormentare tanto si sentiva in pace, serena, rilassata e protetta.

Candy, posso farti una domanda? — le chiese rompendo il silenzio, dopo averci riflettuto un po’ su.

Si, certamente. Tanto, ormai!

Era divertente, sul serio, e gli sfuggì una risatina.

Quel sapone l’avevi dimenticato nella doccia o lo hai lasciato lì apposta?

L’hai usato?

Le diede un buffetto sul naso con il dito, e socchiuse leggermente gli occhi, divertito.

Mi devo abituare a questa nuova te, ma non dispiace per niente.

Lei dondolò un po’ le gambe per riattivare la circolazione, anche se per quanto la riguardava sarebbero anche potute andarle in gangrena, tanto lei a schiodarsi da quella posizione non ci pensava per niente.

Ho avuto il terrore di perderti, Albert. Non riesco a immaginare una vita senza te al mio fianco, è un pensiero che mi fa stare male. Mi mette ansia e mi fa precipitare in un baratro di freddo e solitudine. Ho rinunciato a tante cose nella mia vita, ho detto addio a così tante persone, ma non riesco a farlo con te. Tu ci sei sempre stato. È quando ho realizzato tutto questo che ho capito di essere innamorata di te.

Lui rimase in silenzio a lungo, continuando ad accarezzarla con le dita e con lo sguardo. Quando finalmente parlò, la sua voce tremava leggermente.

Io ci sarò sempre per te, Candy. Mi hai dato speranza quando pensavo di averla perduta e desideravo solo morire. Mi hai dato calore, una casa, un nome. Hai rimesso insieme i cocci sparsi della mia esistenza e mi hai fatto tornare uomo. Mi hai dato amore, disinteressatamente, e mi hai restituito la vita. Dopo aver fatto risorgere in me la speranza hai fatto nascere in me l’amore. Nemmeno io posso più fare a meno di tutto ciò che mi hai donato e desidero solo restituirtelo, amandoti nell’unico modo in cui so amare. Restando al tuo fianco, risollevandoti ad ogni caduta, portando luce nelle tue giornate buie, condividendo con te gioie e dolori, nella buona e nella cattiva sorte.

In salute e in malattia? — gli chiese, con le lacrime agli occhi.

Tutti i giorni della mia vita, finché morte non ci separi.

Ora Candy stava piangendo davvero. Lui non le asciugò le lacrime però, le sorrise soltanto.

Sono io a chiedertelo adesso: accetti la mia proposta?

Scattò in piedi così velocemente che per poco non perse l’equilibrio, poi gli saltò al collo, infine si mise a cavalcioni sulle sue gambe per riuscire ad abbracciarlo ancora più stretto.

Certo che sì! O sì Albert, sì,sì!

Le prese il volto tra le mani e la baciò, e in quel momento il sale delle lacrime sulle labbra di lei gli sembrò il più dolce dei sapori.

Candy, se mi baci in questo modo però, e in questa posizione, non è facile per me mantenere salda la testa.

Arrossì violentemente e si mosse per scendere dalle sue gambe ma lui la trattenne posandole le mani sui fianchi.

No, aspetta, rimani. Stavo scherzando, più o meno. Non è un problema, davvero.

Si sedette sulle sue cosce e gli allacciò le braccia al collo.

A discapito di tutto ciò che ho detto posso aspettare tranquillamente il matrimonio. Mi piacerebbe solo che tu continuassi ad essere spontanea come sei adesso, però.

Fu lei a sorridergli ora, e ad accarezzargli il viso ruvido dalla barba in ricrescita,

Non m’importa aspettare il matrimonio. Quando mai abbiamo seguito qualche regola, noi due? Io voglio solo stare con te. Il resto è solo una formalità che non ci appartiene.

La baciò in risposta, ed era bello sentire come si abbandonasse totalmente a lui. La baciò ancora, e ancora, finché lei non lo allontanò con un sorriso furbo sul volto acceso.

Aspetta. C’è una cosa che devo assolutamente fare.

La osservò armeggiare con l’abito, finché non la vide estrarre da una tasca laterale un foglio piegato in quattro, che lei strappò con soddisfazione e gli restituì. Albert inclinò leggermente la testa all’indietro, e scoppiò in una sonora risata. Poi le prese il foglio strappato dalle mani e lo gettò con noncuranza al suolo.

Come ti è saltato in testa che io volessi essere adottata da te, poi!

L’amore fa fare cose stupide, a quanto pare.

La baciò di nuovo, e sollevò le mani ad accarezzarle la schiena, i capelli. La sentì stringerlo più forte a sé, e desiderare con trasporto quei baci e quelle carezze. Si alzò dal divanetto tenendosela in braccio, e senza smettere di baciarla la sospinse all’interno della camera e la adagiò sul letto.

Pensavo di conoscerti bene, ma sei una sorpresa continua. Non cambiare mai, Candy.

Disteso su un fianco accanto a lei le accarezzò il viso, le labbra, il collo.

Verrai comunque a prendermi per portarmi a Lakewood? — gli chiese, con la voce leggermente tremula per l’emozione.

Non mi rimangio mai le promesse fatte — le sussurrò all’orecchio con la voce leggermente arrochita. Poi le sorrise, le sciolse i capelli dal nastro in cui erano stretti e la baciò.

 

 

 Crediti per l'immagine a Yumiko Igarashi